Tra i docenti invitati alla scuola estiva del Pd, lo scorso settembre, figurava Vandana Shiva, vice presidente di Slow Food International. Domenica 26 ottobre, in una intervista al Tg3 trasmessa dal Salone del Gusto, la stessa Vandana Shiva ha ripetuto che “semi sterili ogm hanno causato in questi anni centomila suicidi tra i contadini indiani”. Il senso di colpa dell’Occidente ricco si è nuovamente scatenato, rimproverandosi di abusare del pianeta e dei diseredati. Di fronte allo strapotere di chi li vuole depredare delle tradizioni e delle terre, i contadini indiani reagiscono bevendo pesticidi e sottraendo così le loro braccia allo sfruttamento delle arroganti multinazionali.
Ma ragioniamo. In India si coltiva una unica pianta da ogm: il cotone Bt, che si difende meglio del cotone normale dall’attacco dei parassiti. In questi giorni è apparso un dettagliato documento di una delle agenzie internazionali più autorevoli, l’Ifpri (International Food Policy Research Institute), da sempre in prima linea nella lotta alla fame e allo sfruttamento dell’agricoltura dei paesi in via di sviluppo. Cerchiamo di mettere in fila i loro dati.
In India ci sono ogni anno tra i cento e i centoventimila suicidi. Tra questi, negli ultimi dieci anni, i suicidi dei contadini sono stabilmente tra i quindici e i diciassettemila l’anno. La percentuale relativa di suicidi di contadini varia da un massimo del 16 per cento del totale nel 2002 (anno di introduzione del cotone Bt in India su soli 29 mila ettari) a un minimo del 14 per cento del totale dei suicidi nel 2006, quando gli ettari coltivati a cotone Bt erano arrivati a 3,8 milioni di ettari, con un incremento di circa 100 volte in soli cinque anni.
Anche analizzando le due province dove si coltiva la maggior parte del cotone Bt indiano (Maharashtra e Andhra Pradesh) si vede come in entrambi i casi il numero di suicidi di agricoltori tra il 2005 e il 2006 sia stabile (rispettivamente a 1500 e a 800 suicidi l’anno) malgrado gli ettari coltivati a cotone Bt negli stessi due anni salgano da 504 mila a 1,8 milioni di ettari nel Maharashtra e da 90 mila a 830 mila nell’Andhra Pradesh.
Ma come mai l’India decide di coltivare il cotone Bt, che ha bisogno di meno trattamenti con pesticidi rispetto al cotone tradizionalmente coltivato in loco? Semplice. L’India era il terzo maggior produttore di cotone al mondo dopo Cina e Stati Uniti, ma la Cina era al sesto posto come redditività per ettaro e gli Stati Uniti al quattordicesimo, mentre l’India occupava solo il settantesimo posto nella classifica mondiale. Tanti ettari coltivati a cotone, ma poco raccolto. Inoltre il 45 per cento di tutti i pesticidi usati in India venivano usati sul cotone. La redditività indiana per il cotone tra il 1990 e il 2003 era stabile attorno ai 300 kg per ettaro; ora che quasi metà del cotone indiano è da ogm la resa è salita a 600 kg per ettaro e contemporaneamente è sceso sensibilmente l’uso di pesticidi.
Riassumendo numerosi studi riconosciuti a livello internazionale, si è ridotto del 32 per cento l’uso di pesticidi sul cotone Bt, si sono avuti aumenti di resa per ettaro del 42 per cento e un vantaggio commerciale per l’agricoltore che coltivava cotone Bt del 52 per cento.
I tentativi di correlare il numero dei suicidi dei contadini indiani alla piovosità annuale dei monsoni, al prezzo commerciale annuale del cotone, all’accesso al credito pubblico, alla redditività per ettaro nei singoli distretti delle regioni maggiormente coltivate a cotone Bt o al livello di indebitamento dei contadini non hanno dato risultati significativi.
Risulta quindi oggettivamente falso affermare che il cotone Bt da solo ha causato 100 mila suicidi “negli ultimi anni” e anzi lo studio dell’Ifpri riduce il fenomeno a numeri molto diversi e a contingenze locali e personali che fanno parte delle incertezze di una impresa a carattere spesso familiare che investe tutto su una singola coltivazione, subendo le variazioni economiche che queste scelte obbligate implicano.
E’ evidente che queste tristissime vicende chiedono più attenti interventi governativi per calmierare i prezzi delle derrate, per consentire un accesso al credito più stabile e per incentivare la meccanizzazione e le tutele sociali. A non servire affatto è un’immagine del problema completamente falsata come quella che in Occidente è stata diffusa.
Ma non basta. Vandana Shiva parla di “semi sterili ogm”. Ebbene, non esiste alcun seme sterile ogm venduto al mondo: sono tutti fertili. Tanto è vero che i contadini indiani li hanno riprodotti e li esportano illegalmente in Pakistan, dove ufficialmente non si dovrebbe coltivare cotone Bt. Certo le ditte sementiere fanno semi più omogenei, che germinano quasi tutti e sono più produttivi, come nel caso dei semi di mais. Ma costano anche di più. E per adesso i pakistani preferiscono i semi piratati.
Per quanto riguarda l’Italia, i semi ogm sono probabilmente l’ultimo dei problemi, ma desta comunque una certa preoccupazione il fatto che quando un partito decide di lanciare una scuola estiva e sceglie uno per uno i suoi docenti, affidi la crescita delle future generazioni a chi commette due “errori” di questo livello per singola frase pronunciata. Certo è bello avere docenti internazionali, ma una balla è una balla, anche se detta in inglese.
Mi domando per esempio quanti scienziati italiani di prestigio – e sia chiaro che non mi includo tra questi – siano stati invitati a tenere una lezione. Ma forse il problema è proprio la ricerca scientifica, sempre sbandierata quando ci si deve piangere addosso per la carenza di finanziamenti, ma guardata ancora con sospetto e in fondo ancora estranea alla cultura di questo paese.
Nel 2009 ricorrono duecento anni dalla nascita di Darwin e centocinquanta dalla pubblicazione del suo rivoluzionario ”L’Origine delle specie”: speriamo che la prossima scuola estiva possa fare un piccolo balzo “evolutivo”.