Se fossi un produttore cinematografico mi affretterei a comprare i diritti dell’ultimo libro di Diego Fusaro dedicato alla figura di Antonio Gramsci (Antonio Gramsci, Feltrinelli). Questo ritratto del fondatore del Pci, in effetti, sembra la sceneggiatura di uno di quei film che riescono a raccontare le vicissitudini biografiche di un personaggio storico senza mai, nemmeno per errore, lasciarci intendere qualcosa delle idee per le quali si è battuto. Il protagonista è un matematico? Basterà metterlo davanti a una lavagna e fargli scrivere qualche formula enigmatica. Oppure si tratta di Enrico VIII d’Inghilterra? Allora bisogna mostrarlo che salta addosso ad Anna Bolena — la carne è debole — e non importa illustrare le ragioni dello scisma anglicano…
E se invece vogliamo raccontare Gramsci, ma vogliamo raccontarlo in modo che nella sua avventura umana e intellettuale possano riconoscersi tutti? E con tutti vogliamo dire proprio tutti, da sinistra a destra, dal giovane grillino al vecchio keynesiano, dall’imprenditore brianzolo in rotta con le banche al tassista che vota Storace? Allora bisognerà ripulirlo un poco. Ed è quello che Fusaro fa benissimo: ovvero ripulire Gramsci da ogni traccia di marxismo per farne quello che lui chiama, con un’espressione già pronta per la programmazione in prima serata, un “eroe italiano”.
Per raccontare questa bella favola innanzi tutto ci vuole un set. Il nostro Gramsci è in prigione, per tutto il libro ci parla dalla prigione, attraverso citazioni tratte dai Quaderni. Della sua attività politica nel partito sapremo pochissimo. Gramsci è soprattutto “un uomo innocente, morto in carcere per ciò che pensava e in cui credeva”. È una vittima del fascismo, certo, ma in fondo il fascismo è un prodotto del capitalismo: proprio come l’Unione europea, ci dirà Fusaro a un certo punto. Insomma Gramsci è una vittima della stessa forza oscura della quale, quasi un secolo più tardi, siamo vittime noialtri. La sua prigione è la nostra prigione. Se fossi un produttore televisivo qui mi sfregherei le mani, ammirando l’abilità dello sceneggiatore nel creare le condizioni perché lo spettatore s’immedesimi. Dopo il suo Fichte-No-Euro pubblicato nel 2014, con questo Gramsci-No-Euro Fusaro aggiunge un ulteriore fondamentale tassello alla storiografia filosofica.
Profezie sulla moneta unica a parte, quali sono gli ideali di questo Gramsci? Scrive Fusaro: “Una società più giusta, sottratta alla reificazione e alle asimmetrie classiste” o ancora “una realtà in cui l’uomo, anziché perdersi nelle forme prosaiche dell’asservimento e della reificazione, trovi pienamente se stesso, realizzando le proprie potenzialità e imparando ad abitare poeticamente il mondo”. Facendo fede a queste formulazioni bizzarre, ognuno potrà interpretare la cosa come preferisce; e il produttore applaude. D’altronde sono frasi che starebbero benissimo in bocca anche a Braveheart o a Zeta la formica. Il Gramsci di Fusaro ci promette un mondo migliore e ci sprona a liberarci dalla “dittatura dell’economia”, riscoprendo “il senso della dissidenza e dell’indocilità ragionata”. Altro che “A beautiful mind”, qua abbiamo tra le mani il nuovo “Matrix”… E se poi non si capisce il finale, tanto meglio: ci sono sempre le scene di azione, pardon, di praxis.
Dopo l’esplorazione della prigione, infatti, viene la promessa di un riscatto. Fusaro evoca la prospettiva di un “comunismo ideale eterno” in nome del quale gli orfani della vecchia dicotomia destra-sinistra devono radunarsi in un fronte comune. Qui il produttore ha un sussulto: come rendere digeribile al nostro pubblico di destra addirittura il comunismo? Non sia mai che gli amici di Casa Pound cambino canale! Fusaro ha pensato anche a questo, anzi, a dire il vero è da anni che non pensa ad altro. Si tratta, con l’aiuto di Gramsci, di stemperare anzi rimuovere dal corpus del marxismo due soli elementi: l’ambizione scientifica e la dimensione internazionalista. Prima si metterà da parte ogni esame della realtà concreta, segno di “cretinismo economico”, perché non contano i duri fatti ma soltanto l’ottimismo della volontà. E poi si lavorerà alla costruzione del socialismo, certo, ma questo socialismo sarà nazionale. Ecco, in sintesi, la natura dell’operazione interpretativa alla quale si applica Fusaro in questo saggio, come peraltro in tutti i suoi altri tentativi di “revisione” del marxismo.
Coincidenza vuole che basti questa semplice operazione a rendere il “comunismo” di Fusaro indistinguibile dal “fascismo” secondo la definizione di Alain de Benoist. Il teorico della Nouvelle Droite, in effetti, definisce il fascismo proprio come una “variante del socialismo avversa al materialismo e all’internazionalismo”. Ed ecco apparecchiato un Gramsci potenzialmente fascista, un Gramsci per tutte le stagioni. Coincidenza, davvero? Ci permettiamo di dubitarne, conoscendo non soltanto l’influenza del pensiero di de Benoist sul maestro di Fusaro, Costanzo Preve, ma inoltre l’affinità intellettuale che Fusaro e de Benoist non cessano di esibire. In verità si tratta di un’operazione del tutto consapevole, coerente con il programma di quel “gramscismo di destra” che de Benoist aveva teorizzato fin dagli anni Settanta.
L’importante a questo punto, si raccomanda il produttore, è di non scoprirsi troppo sulla sinistra. Si tratta pur sempre di un film per famiglie, non possiamo iniziare a sventolare le croci celtiche! L’editore Feltrinelli non vuole certo perdere la faccia. Ovviamente Fusaro ha pensato anche a questo, perché gramscianamente il suo Gramsci deve davvero essere nazionale-popolare, trasversale, rossobruno se necessario; altrimenti come la mettiamo in piedi questa benedetta egemonia contro il capitale? Malgrado le violente critiche al Pci, reo di avere prima trasformato Gramsci in un monumento e poi di averne tradito gli ideali, Fusaro non descrive un pensatore necessariamente incompatibile con il marxismo. L’insistenza dell’interprete sui temi del nazionalismo e dell’antimaterialismo non tradisce la lettera dei Quaderni, piuttosto ne sfrutta i non-detti per “accompagnarla” verso un nuovo contesto politico, facendo di Gramsci un teorico del sovranismo e del protezionismo. Fusaro è tanto talentuoso come sceneggiatore di film quanto catastrofico come storico del pensiero.
Molti dei lettori nemmeno capiranno il senso del film che hanno appena visto: vedranno un uomo in prigione, un uomo che lotta per un mondo migliore, il sogno di una cosa chiamata comunismo. E così, poco a poco, inizierà a essere loro sempre meno chiara la differenza tra quella “cosa” che Gramsci sognava e quell’altra che invece l’ha ucciso. È la magia del cinema!