A prima vista si direbbe che la sinistra italiana sia in via di guarigione. Dalla sconfitta del 2001 in poi è stata additata al ludibrio dei propri elettori da Nanni Moretti, contestata al suo interno da minoranze sconfitte nelle urne dei congressi ma ansiose di rifarsi nelle piazze, circondata in un interminabile girotondo da un’ampia cerchia di giornalisti, personaggi dello spettacolo, sindacalisti e intellettuali fermamente intenzionati a metterla sotto processo. Non è stato soltanto un fenomeno mediatico, predeterminato ed eterodiretto; nonostante l’indubbia influenza di gruppi di potere di varia estrazione, ben consapevoli di quanto andavano facendo, quel movimento è stato un fenomeno reale. E bene ha fatto lo storico Paul Ginsborg a dargli una connotazione sociologica, chiamandolo ceto medio riflessivo. Non perché l’insegnante di sinistra sia mediamente più intelligente dell’irriflessivo bottegaio di destra, ma perché quel “ceto” – sarebbe meglio dire quegli spezzoni di classe media – rifletteva fedelmente interessi e umori di un preciso segmento del tradizionale blocco sociale della sinistra. Era insomma la voce autentica di quegli insegnanti, magistrati, artisti e intellettuali su cui già negli anni Settanta il Pci aveva saputo fondare la sua egemonia nella società italiana, garantendo loro tutele e privilegi, ma anche una funzione politica.
La recente ribellione contro i partiti nasceva dunque anche dalla necessità di rimettere in discussione quegli assetti: la parola d’ordine della modernizzazione del paese è stata vissuta infatti, in larga parte di questo mondo, come il segnale del tradimento e il preannuncio dell’abbandono. La vera novità del caso Travaglio non sta dunque nelle accuse lanciate dal giornalista contro la sinistra di governo al teatro Vittoria di Roma, ma nella reazione veemente che questa volta, diversamente dal passato, ha respinto l’assalto e diviso gli stessi contestatori. Il rapido isolamento dei “facinorosi” mostra che la sinistra ha ritrovato le sue difese immunitarie. La stagione dei grandi processi ai gruppi dirigenti è finita, ma è ancora presto per dire che sia destinata a non tornare mai più. Quel che si può dire sin d’ora è che la strada seguita negli ultimi mesi era corretta: la prospettiva di un grande partito riformista capace di stabilizzare il centrosinistra e offrire una credibile alternativa di governo comincia a pagare. L’alleanza tra i principali attori della competition interna – Ds e Margherita – prosciuga l’acqua in cui nuotano i sanculotti dell’antipolitica, e nessuno ha più interesse a soffiare sul fuoco. Di fronte alla crisi del paese è la forza delle cose a spingere in avanti i partiti della lista unitaria. E le polemiche sulla bicamerale o sul triciclo che esclude invece di includere sono già un puntino (percentuale) sullo sfondo.