Accingendoci a scrivere questo articolo, intorno alla mezzanotte di domenica, tenevamo davanti lo schema che nel corso della settimana era venuto formandosi nella nostra mente: da un lato la crisi del governo Berlusconi, aggravata dall’incertezza strategica in cui si sta lentamente consumando il suo leader; dall’altro la tenuta delle istituzioni (dal Quirinale alla Cassazione, dalla Consulta alla stessa Banca d’Italia). Sullo sfondo, la coincidenza tra le agitazioni dei medici e dei magistrati, all’insegna di una ritrovata unità delle rispettive categorie: tutte le correnti della magistratura e tutte le 42 sigle dei medici, nello stesso giorno, annunciavano lo sciopero contro il governo.
Lo schema che abbiamo qui brevemente riassunto serviva fondamentalmente ad argomentare una riflessione: la crisi del centrodestra e di Berlusconi in particolare, sempre più insofferente dei vincoli e delle continue verifiche cui è fatalmente sottoposto ogni tentativo di governare una società complessa e tanto più l’Italia, offre ai partiti della lista unitaria una grande occasione. Alla vigilia della convenzione di San Valentino, il nucleo del futuro partito riformista può finalmente presentare al paese una credibile alternativa, ma deve guardarsi dalla tentazione di mettersi a capo di ogni e qualsiasi forma di opposizione fermenti nell’agonia berlusconiana. Quell’agonia è cominciata non a caso proprio nel momento in cui il centrosinistra ha smesso di girare in tondo e a vuoto attorno al leader di Forza Italia, ponendo fine unilateralmente al gioco della guerra civile tra fascisti e antifascisti. Ricadere in quel circolo vizioso, per calcolo elettorale o per semplice reazione istintiva, significherebbe non solo concedere una facile via d’uscita a Berlusconi, ma soffocare sul nascere ogni speranza riposta nel nuovo partito riformista.
L’articolo che avevamo così immaginato, si sarebbe dunque concluso con un’esortazione ai partiti della lista unitaria affinché mostrassero il coraggio che la situazione richiede: la tenuta delle istituzioni, da cui eravamo partiti, è infatti uno scoglio isolato nel mare in tempesta. Dinanzi al riemergere di un “paese selvaggio”, al diffondersi e al radicalizzarsi della protesta in ogni parte della società, è più che mai necessario osare, sfidare le antiche resistenze e presentare a tutto il paese una diversa agenda politica. Senza dimenticare che ancora pochi giorni fa un autorevole magistrato, sul Corriere della sera, collegava l’attuale agitazione contro la riforma del centrodestra al peccato originale della commissione bicamerale. Cedere su questo terreno, accettando di riposizionarsi sul fronte dello scontro frontale con la Cdl e della conservazione dello status quo con le diverse categorie, ordini e poteri dello stato (dalla giustizia all’informazione, dalla sanità ai trasporti) significherebbe condannarsi alla sconfitta politica ed elettorale. Naturalmente, con ciò non intendevamo invitare i riformisti a solidarizzare con il governo, ma a guidare l’opposizione al centrodestra che si va dispiegando nella società, raccogliendone le diverse istanze cum grano salis.
Questo era grosso modo l’articolo che ci accingevamo a scrivere domenica sera, come d’abituine, con un orecchio alle anteprime dei quotidiani del giorno seguente. E avevamo appena cominciato la disamina della crisi del governo, quando abbiamo sentito dell’intervento del segretario dell’Anm sul tentativo berlusconiano di “fascistizzare la magistratura”. Le notizie sulla verifica e lo scontro nella maggioranza, in tutte le prime pagine, erano state relegate in fondo dalle relative polemiche. E per un attimo abbiamo esitato, pensando che il nostro articolo avesse perso di attualità.