Silvio Berlusconi ha preso la sua decisione: al bivio tra l’erta salita del leader di una destra conservatrice europea e la ripida discesa del “miliardario della strada” in guerra contro l’establishment, ha scelto la strada conosciuta. Ma questa volta la via vecchia potrebbe non essere la più saggia, perché è il paesaggio a essere cambiato. Dinanzi alla crisi industriale, sociale e civile del paese, all’incapacità delle forze sociali di controllare le ricorrenti ondate di scioperi selvaggi, all’impreparazione di tutti i partiti dinanzi a un paese che tende sempre più a “scartare di lato”, Berlusconi sceglie la risposta mimetica, quella da sempre a lui più congeniale: una “politica selvaggia”, una campagna elettorale permanente da capo dell’opposizione, contro i politici ladri e contro il potere. Ma il gioco è finito e il presidente del Consiglio è il primo a saperlo. Ora si tratta solo di guadagnare una posizione di forza da cui trattare la resa, la ritirata in un qualche limbo politico e giudiziario. Il decennio berlusconiano si chiude con le elezioni europee. Dal 1994 a oggi ha garantito una camera di compensazione al crollo della prima Repubblica, o per meglio dire dei suoi assetti politici; con il crollo dei suoi assetti di potere economici cessa anche la funzione storica di Forza Italia. Berlusconi è stato un congelatore, capace di bloccare la spinta populista e antisistema proveniente da destra, costringendo anche la sinistra nella logica della paralisi emergenziale. Da una parte il leghismo berlusconiano ribellista e afascista, dall’altro le forze repubblicane riunite in una sorta di grande istituto per la ricostruzione politica. L’ultima trappola del miliardario della strada è questa: tornare a incatenare l’opposizione attorno alla trincea della Prima Repubblica, dei suoi valori e della sua storia.
La lista unitaria e il partito riformista rappresentano la rottura di questo schema perdente, l’unica risposta razionale alla crisi di consenso e di leadership del berlusconismo. Il tentativo di cavalcare la crisi Parmalat per dare l’assalto al cielo del potere economico-finanziario è fallito, la riforma del credito avrà con tutta probabilità il voto e il contributo dell’opposizione, di certo sarà assai lontana dall’iniziale progetto di espansionismo tremontiano. Ai bellicosi proclami a reti unificate del suo disperato avversario, il centrosinistra dovrebbe replicare rivolgendosi direttamente agli italiani: la guerra civile è finita, adesso si torna a casa.