Non ora, non più

Uomini e donne si accalcano nella stiva e il primo che si azzardasse a uscirne verrebbe buttato in mare, una donna partorirà un figlio morto e dovrà gettarlo nelle onde, la tempesta travolgerà la nave e per calmarla occorrerà il sacrificio di un Giona. Sindbad il marinaio è oggi un trafficante di uomini e intende portare il suo carico sulle coste italiane, ma è al suo ultimo viaggio. E’ un tiranno malinconico che non appartiene al tempo e alla storia, cresciuto sulle navi di emigranti meridionali del primo Novecento, compagno di viaggio di Paolo di Tarso e contemporaneo dei moderni mercanti di schiavi. Porta a termine il suo compito senza scrupoli e senza rimorsi, eppure ricorda ancora il grido di una madre all’alba del secolo passato, quando dal molo scandì per l’ultima volta il nome del figlio, Salvatore, destinato a imprimersi per sempre nella memoria del giovane mozzo. “Quella donna sconosciuta ha cucito nelle mie orecchie il nome di un estraneo e mi ha lasciato una cicatrice musicale nella testa. Un nome solo e basta, finito nel timpano di un marinaio indifferente che non faceva il postino e non poteva portare l’ambasciata a quel Salvatore, per dirgli che lo chiamava sua madre con l’ultima voce buona per raggiungerlo, con l’ultima sua forza carnale”. Gli echi biblici e i riferimenti all’attualità si mescolano nell’Ultimo viaggio di Sindbad, singolare e brevissima opera teatrale di Erri de Luca, ora pubblicata da Einaudi. Il senso ultimo del libro è però tutto in quel ricordo, che ruota attorno al tema classico del silenzio di Dio, trasfigurato nel silenzio dell’Occidente dinanzi alla disperazione dei popoli che premono ai suoi confini. Ma Sindbad è anche lo scrittore Erri de Luca, con la sua storia personale e le tempestose vicende della sinistra e dell’Italia che ha attraversato dagli anni Settanta a oggi. Come il capitano del racconto, anche l’intellettuale impegnato di allora misura oggi tutta la propria incapacità di “portare l’ambasciata a quel Salvatore, per dirgli che lo chiamava sua madre con l’ultima voce buona per raggiungerlo”. Si tratti di Dio, dell’Occidente o della sinistra ha poca importanza, l’ambasciatore di quella triste novella sa che il tempo di Sherazade è finito. Perché se Sindbad è al suo ultimo viaggio, questo significa che è giunta alla sua ultima ora anche la schiava del sultano, condannata a morte e capace di rinviare l’esecuzione narrando ogni notte una nuova avventura del marinaio. E che “per mille e una notte riuscì a rinviare il proposito del re di ucciderla, perché allora le parole di un racconto facevano il miracolo di salvare la vita”. Ma non ora, non più.