Cosa è successo alla manifestazione per la pace del 20 marzo? Si potrebbe dire che è tornata l’onda lunga dell’opposizione alla guerra e che l’effetto Madrid non ha creato un riflesso d’ordine, ma ha rivitalizzato anche in Italia un movimento pacifista che sembrava avviato al declino. Ma la verità è che in quel movimento sfilavano diversi e giganteschi striscioni inneggianti alla “resistenza irachena” con tanto di traduzione in caratteri arabi. Sfilavano insieme a tanta parte di quei cittadini senza particolare collocazione politica, ai cattolici, alle persone semplicemente e vagamente di sinistra. Ma la verità è che il corteo di sabato somiglia più all’ultima fiammata che alla rinascita di un grande movimento popolare. Ed è proprio dai movimenti in difficoltà che possono nascere le pulsioni più radicali, le schegge impazzite e le derive estremiste.
Si potrebbe dire che l’espulsione dei Ds – non di Piero Fassino – sia solo un episodio minore, causato da una minoranza di facinorosi. Ma la verità è che è un fatto senza precedenti, conseguenza di un agguato premeditato e organizzato a dovere, non certo della bravata di trenta ubriachi. Si potrebbe dire che c’è sempre qualche testa calda, che non si può criminalizzare un intero movimento, tralasciando l’esultanza dei leader dei disobbedienti, le dichiarazioni rilasciate nei giorni precedenti da Marco Rizzo, Gino Strada, Francesco Caruso, o il mimetismo di tanta parte degli stessi dirigenti diessini che hanno preferito sfilare in disparte piuttosto che sotto le proprie bandiere. Si potrebbe dire che in fondo quel che è accaduto ai Ds è lo specchio della loro posizione politica: prima fermi per ore a piazza della Repubblica ad aspettare il momento più opportuno per muoversi; quindi, lo spezzone più numeroso della manifestazione – il loro – che si sfarina lentamente tra chi va avanti e chi torna indietro, perché è un esercito fatto di persone normali, famiglie e ragazzi che certo non sono venuti per marciare agli ordini di ufficiali indecisi e invisibili. E poi si muove, lentissimo, perché deve fronteggiare il tentativo di spezzare il corteo da parte dei suoi alleati di sinistra, è costretto a deviare per una via laterale ed è di nuovo bloccato dai disobbedienti che gli impediscono di rientrare. Fassino è già arrivato, i Ds avrebbero ancora la forza di caricare e riprendere il proprio posto, ma non vogliono, preferiscono trattare. Restano dunque ancora immobili, mentre continuano a perdere pezzi per noia, per stanchezza, per insofferenza. Poi finalmente si muovono e prendono mestamente la coda della manifestazione. Fassino è ancora lì, lo spezzone è ormai un decimo di quello che era a piazza della Repubblica ma è ancora consistente, due o tre provocatori vengono facilmente respinti. Però quelli insistono e la tensione cresce, qualcuno perde la calma e il servizio d’ordine deve preoccuparsi anche di questo, tenendo lontani i provocatori e allontanando quelli che vorrebbero reagire. Quando Fassino lascia il corteo per una via laterale, scortato da una parte del servizio d’ordine, lo spezzone diessino è ormai larghissimo e il cordone è saltato in più punti. E’ qui che scatta l’agguato, e questa volta non sono due o tre.
Si potrebbero dire molte cose e sorvolare sulle spranghe, sul tempismo e la lucida organizzazione dell’agguato. Si potrebbero dire molte frasi di circostanza, ma la verità è che tiravano bottiglie di vetro in mezzo a vecchi e bambini. La verità è che erano sempre le stesse facce, organizzati e mandati avanti da chi oggi si vanta di aver cacciato i Ds dal corteo. La verità è che se si è evitato il peggio è stato solo per il coraggio, la freddezza e la capacità di un servizio d’ordine spesso improvvisato da ragazzi della Sinistra giovanile e dirigenti di partito che hanno chiuso di lato gli aggressori, permettendo così agli altri di lasciare la manifestazione.
La verità è che la tensione che cova sotto le parole di circostanza pronunciate da un tg3 troppo distratto, da una sinistra smarrita, da dirigenti vigliacchi, rappresenta un pericolo reale. Non sono più possibili ambiguità o ipocrisie, né tatticismi elettorali. La crisi della destra al governo e l’offensiva di al Qaeda disegnano uno scenario inquietante, in cui la tensione può esplodere da un momento all’altro, abbassando le difese della società e del paese. Ed è la sinistra, adesso, che deve fare cordone.