Il 12 e 13 giugno gli italiani sono chiamati a rispondere con il voto a tre domande. La prima sul mondo, la seconda sull’Europa, la terza sull’Italia. La prima domanda di fatto è stata già formulata e ormai attende solo una risposta. Nel momento in cui Gorge W. Bush cede alle richieste franco-tedesche sul testo della nuova risoluzione, accettando così il ruolo della comunità internazionale e delle Nazioni Unite in Iraq e decretando la fine dell’unilateralismo neoconservatore, gli italiani devono dire se vogliono che il loro paese si allinei a quel vastissimo schieramento che ha imposto l’approccio multilaterale e che va ormai da Madrid a Londra, o se viceversa approvano l’oltranzismo atlantico del governo Berlusconi. La seconda domanda riguarda il processo di costruzione europea: il 12 e 13 giugno si elegge il parlamento chiamato ad accompagnare quella conclusione che il recente cambio di governo in Spagna ha reso finalmente possibile (togliendo all’antieuropeismo berlusconiano l’ultimo alleato rimasto), la firma della costituzione europea e l’avvio di quell’Europa politica troppo a lungo rimandata e che costituisce invece, come dimostrano proprio gli ultimi sviluppi della crisi irachena, l’unica speranza di contenere le pulsioni unilateraliste degli Stati Uniti e di contribuire a una gestione multilaterale delle crisi internazionali. La terza domanda riguarda l’Italia, ma non consiste semplicemente nel giudizio sul governo. Se il crollo di Forza Italia e il sorpasso del centrosinistra sulla Casa delle libertà appare scontato, resta tutto intero l’interrogativo sul futuro assetto del nostro sistema politico dopo l’inevitabile conclusione dell’esperienza berlusconiana. Questo è l’interrogativo che gli italiani sono chiamati a sciogliere: votare per la lista Uniti nell’Ulivo significa votare per il bipolarismo. Nell’esplosione del centrodestra molti sono tentati di vedere il big bang di un nuovo assetto in realtà spaventosamente vecchio, che torni a coagularsi in un blocco centrista certo non privo di potenziali alleati nel paese, tra le forze imprenditoriali e nei mezzi di informazione. L’affermazione della lista unitaria come partito guida del centrosinistra rappresenta l’unico ostacolo insormontabile a questo epilogo. Non è poi così singolare che il tema si ponga agli elettori in occasione di elezioni europee: si tratta in fondo del giudizio finale sul lungo e tormentato tentativo di europeizzare l’Italia e di modernizzare il suo sistema politico, mettendolo al riparo dalle ricorrenti tentazioni di tornare indietro. Pertanto il 12 e 13 giugno gli elettori che voteranno per la lista Uniti nell’Ulivo non voteranno solo per la forza che rappresenta la più credibile alternativa di governo al centrodestra, ma anche per se stessi e per il loro diritto a decidere con il voto, di volta in volta, chi debba andare a Palazzo Chigi e chi debba andare a casa.