Il voto di domenica sollecita tre considerazioni: la prima dice che se il centrosinistra può vincere alla Provincia di Milano, può vincere ovunque; la seconda che la crisi del governo Berlusconi continua ad aggravarsi, rendendo possibili anche gli scenari che fino a pochi mesi fa sarebbero parsi più inverosimili; la terza che cambia la geografia politica del paese, se a Milano aggiungiamo il clamoroso risultato di Foggia e di quasi tutto il Mezzogiorno. Lo scollamento del centrodestra berlusconiano dagli interessi, dai bisogni e dai sentimenti del paese e il conseguente calo dei consensi è un fatto storico, che meriterebbe un´analisi ben più ampia e approfondita. Tuttavia, prima di vendere la pelle dell´orso è bene accertarsi della salute, della mira e della lucidità del cacciatore che dovrebbe catturarlo. Ossia il centrosinistra, a cominciare dalla sua principale componente, quella lista Uniti nell´Ulivo che alle europee ha fatto la sua prima prova. Dalle elezioni del 2001 che hanno incoronato Berlusconi fino a pochi mesi fa, ci è stato spiegato che con questi dirigenti – quelli del triciclo – il centrosinistra non avrebbe vinto mai. E mai funesta profezia si rivelò di migliore auspicio, visto che da allora e con quegli stessi dirigenti (non ne è cambiato uno) il centrosinistra ha vinto tutte le elezioni che si sono presentate, dicasi tutte e nessuna esclusa. I girotondi che applaudivano quelle parole profetiche, uniti con Di Pietro, all´ex pm hanno portato invece un cospicuo meno due per cento, spingendo il pragmatico Tonino a chiedere il divorzio già alla prima proiezione dei risultati. Quegli stessi movimenti non molto tempo fa incoronavano Cofferati nuovo leader della sinistra e tutti i grandi giornali, chi lamentandosene e chi rallegrandosene più e meno sinceramente, davano loro ragione. Un sincero riformista come il professor Salvati arrivò persino a trarne la sconfortante conclusione che i riformisti dovessero abbandonare i Ds come una fortezza ormai indifendibile, confluire nella Margherita (da cui nel frattempo sarebbe uscita l´anima radicale pacifista) e lasciare a Cofferati la leadership di una grande sinistra da Bertinotti a Rosi Bindi, passando per correntone ds, Verdi, comunisti italiani e chi più ne ha più ne metta. Oggi Cofferati fa il sindaco di Bologna, la lista riformista ha preso il 31.1 per cento con tutti i Ds, la Margherita e lo Sdi, mentre la sinistra radicale ha preso il 13 per cento. Eppure ci si spiega che i veri vincitori sono loro. Quelli che fino a ieri dovevano abbandonare i rispettivi partiti a Cofferati per confluire nel mini partito democratico immaginato da Salvati, oggi sarebbero gli sconfitti perché hanno preso “solo” i voti di tutti i rispettivi partiti, non uno di meno. Mentre quelli che avrebbero dovuto federare l´intera sinistra italiana e si sono ritrovati (divisi) al 13 per cento, sarebbero i trionfatori. Ci sono meno cose in cielo e in terra di quante ne sogni l´acuta filosofia politica dei nostri commentatori.
Tuttavia basta scorrere questo sommario (e sommamente incompleto) riepilogo dei fatti per vedere chiaramente come stanno le cose: la vera scommessa della lista Uniti nell´Ulivo era dimostrare la “sommabilità” dei voti diessini, margheritini e socialisti. Affermando perentoriamente che il listone non ha preso un voto in più dei partiti, dunque non uno di meno, si è certificato un fatto storico: quei famosi elettori del centrosinistra in nome dei quali tanti in questi anni si sono (abusivamente) pronunciati, hanno approvato e premiato con il loro voto la scelta dell´unità. Il De profundis sul partito riformista si è rivelato una marcia trionfale. Sinceramente ci auguriamo che continui a suonare il più a lungo possibile.