L’ unico vero sport nazionale assiduamente praticato dai gruppi dirigenti italiani è il gioco dell’oca. Dalla conformazione dello stato sociale alla peculiare struttura del nostro capitalismo, dal mondo dell’informazione e della cultura alla finanza, tutto risponde alla logica circolare del gioco da tavola. Ed è a tavola, o se preferite a tavolino, che le menti migliori di questo paese amano applicarsi nel riempire (anche) le caselle della politica. Attualmente, tanto la casamatta del centrodestra quanto quella del centrosinistra sono occupate da pedine considerate provvisorie, non foss’altro perché piazzate da altri, o piazzatesi da se stesse, o dai nostri giocatori nel corso di un’altra partita che ora, come si suol dire, non vale più. Silvio Berlusconi e Romano Prodi vanno pertanto rimossi. La principale linea argomentativa addotta dagli aspiranti regicidi è semplice e di indubbia efficacia: mai nella storia si è visto replicare lo stesso duello per il governo del paese a dieci anni di distanza.
A ben vedere, Berlusconi e Prodi hanno qualcosa in comune. Rappresentano entrambi la risposta di una parte dell’Italia alla crisi della Prima Repubblica. Entrambi hanno costituito una risposta emergenziale e anomala, che ha potuto emergere innanzi tutto grazie al vuoto di potere lasciato dal terremoto del ‘92. Entrambi sono figli del bipolarismo, perché non c’è dubbio che Berlusconi non passerà alla storia come il creatore di Forza Italia e tantomeno Prodi sarà ricordato per la creazione dei Democratici o della Margherita; Berlusconi è la Casa delle libertà così come Prodi è l’Ulivo. La vera rivoluzione che ha spezzato in due – dunque reso parzialmente inservibile – il bel tabellone circolare del vecchio gioco dell’oca, l’introduzione del maggioritario, poggia sull’ovvia premessa di due coalizioni egualmente competitive per il governo del paese. Il che comporta, giova ricordarlo, che a decidere in ultima istanza chi debba governare l’Italia e chi andare all’opposizione siano gli italiani. Per essere più precisi: tutti gli italiani. E forse andrebbe anche ricordato che è solo dall’introduzione del maggioritario che gli italiani hanno potuto mandare a casa con il loro voto il governo in carica e mandare al governo l’allora opposizione. Quello che dovrebbe essere il naturale meccanismo di alternanza in ogni democrazia liberale e che è infatti la norma in ogni paese europeo, in Italia si è verificato soltanto nel 2001 – grazie al bipolarismo – per la prima volta nella storia del paese. Riavvolgiamo dunque il filo della polemica contro Prodi, che non a caso segue la campagna condotta contro il maggioritario e di quella costituisce la logica conseguenza, ma anche la premessa politica. Non deve stupire che gli attacchi al fautore della federazione riformista vengano dalle stesse forze che non risparmiano critiche alla declinante leadership del Cavaliere. Far fallire il progetto di unificare il centrosinistra scalzandone il principale promotore e indebolire l’unico collante in grado di tenere insieme il centrodestra (Silvio Berlusconi) sono le due facce di una stessa medaglia. Una medaglia che in molti oggi sognano di appuntarsi al petto, con il ritorno al sistema proporzionale e la ricostituzione dell’antico tabellone. Qui la Margherita, lì l’Udc. Qui la Confindustria, lì la Cisl. Tutte le caselle tornerebbero di nuovo in fila ordinata. Un circolo perfetto, senza soluzione di continuità e senza più quel fastidioso intervallo post ‘92, in cui d’improvviso il primo venuto poteva candidarsi al governo e – per giunta – a deciderne le sorti erano gli elettori. Questo è il ragionamento che si va facendo, limpido e perfettamente razionale salvo in un punto: è vero che così si vuole evitare di riportare il paese alla sfida di dieci anni fa, ma non certo per andare avanti. Qui si vuole tornare molto più indietro, in un tempo in cui la stessa parola “sfida” risulterebbe insignificante. Va detto che nel passato, prima del maggioritario, il gioco dell’oca trovava comunque formidabili ostacoli nei grandi partiti di massa, radicati nel paese e sottomessi agli stringenti vincoli internazionali della guerra fredda. Ma dopo il crollo del muro e Mani Pulite, di quegli ostacoli non è davvero rimasto molto. Non è dunque per amor di retorica se ripetiamo che oggi la costruzione del partito riformista, con il conseguente consolidamento del bipolarismo e dell’alternanza, non risponde solo all’interesse del centrosinistra, ma all’interesse del paese.