The Village è un capolavoro e vi invitiamo caldamente a vederlo prima di proseguire nella lettura di questo articolo. Bene, se siete tornati dal cinema in questo momento, ora capirete che il nostro incipit non era esagerato. Il villaggio potrebbe essere l’America impaurita, e le creature innominabili i lupi cattivi degli spot pro-Bush, la minaccia terrorista necessaria a tenere la popolazione chiusa nelle proprie case. Il colore maledetto è il rosso della passione, il “gesto che spesso non facciamo per timore che gli altri capiscano quello che proviamo”, il male che è là fuori. La comunità che vive nel villaggio è completamente isolata, non ha contatti con l’esterno, al riparo dalle influenze corruttrici del denaro, della modernità e persino della medicina. Il villaggio immaginato da Shyamalan non è poi così diverso dalle comunità di integralisti cristiani delle campagne americane, a cui Gorge W. Bush ha fatto appello nella sua ultima, decisiva battaglia del 2 novembre.
La città come simbolo della corruzione, ben presente nella retorica fondamentalista e nello stesso messaggio di rivendicazione dell’11 settembre – lo hanno spiegato bene Ian Buruma e Avishai Margalit in “Occidentalism” – rappresenta la seconda lettura possibile di questo splendido film. La prima, talmente evidente da non rendere necessarie ulteriori spiegazioni, sta nel suo significato più attuale e strettamente politico: il consiglio degli anziani che agita la minaccia delle creature innominabili ai confini del villaggio per impedire che alcuno possa pensare di oltrepassarli, compromettendo l’equilibrio di una comunità perfettamente autosufficiente, autarchica, isolata da ogni contatto con l’esterno e la cui continuità è garantita dalla paura. Eppure, anche rimanendo sul piano politico, un’altra interpretazione è possibile.
Il patto costituzionale alla base della comunità è rappresentato dalla scelta del compromesso. Se le creature innominabili sono l’equivalente fantastico delle moderne armi di distruzione di massa, la scelta della comunità è l’appeasement. La rinuncia alla civiltà moderna, l’autoisolamento, la chiusura autarchica al commercio di beni e di informazioni, al pensiero, alla scienza. Al punto da lasciare morire i propri figli per non rischiare il viaggio in città alla ricerca di medicine. Qui sta forse il piano di lettura più interessante: il rifiuto della scienza, del commercio, della libera circolazione delle idee e degli uomini, nel tentativo di preservare l’innocenza e la purezza della campagna contro la corruzione della città. I valori tradizionali contro la disgregazione della modernità e della tecnica. La fede, non solo in Dio, ma innanzi tutto nel passato e nell’autorità dei suoi custodi – gli anziani – contro il desiderio di intrapresa, contro l’aspirazione alla libertà e al benessere che spinge i giovani a varcare il confine. A spingerli fuori è la ricerca delle medicine, che solo nella città del denaro e della corruzione è possibile trovare. La contraddizione tra l’aspirazione alla purezza e all’innocenza del passato e la condanna a morte che quell’ideale comporta per i propri figli.
Osservando la scelta di Ivy, che decide di attraversare il bosco per salvare l’amato Lucius, una lettura retorica e sentimentale potrebbe concluderne che il film sia un apologo sulla forza dell’amore. Noi preferiamo vedere invece nella sua scelta di andare in città a cercare le medicine, lo stesso desiderio che aveva spinto Lucius a “violare il confine” per la prima volta, il più legittimo e il più umano dei desideri: il desiderio di migliorare la propria condizione e quella dei propri simili, l’aspirazione a fabbricare con le proprie mani – o a trarre dalle mani e dall’esperienza di altri uomini – i mezzi necessari a rendere la vita più degna di essere vissuta. L’aspirazione al benessere, quel Komfortismus (la ricerca esasperata del “comfort”, della vita comoda, facile, senza problemi) che i teorici nazisti o protonazisti di tutti i tempi indicavano come principale causa di decadenza e rammollimento dell’Occidente. Il rifiuto, in altre parole, di quella valle di lacrime e di quell’esistenza segnata dal dolore che in tanti ancora oggi vorrebbero imporre ai loro figli dall’alto di confortevolissime cattedre, tenendoli rinchiusi in un villaggio sperduto, ignari e indifferenti ai destini del mondo. Tanto da non sapere nemmeno che quel mondo grande e terribile li ha già giustamente e inconsapevolmente relegati in una riserva naturale.