Ma noi stessi, noi filosofi del presente: che cosa possono e devono significare per noi considerazioni del tipo di quelle che abbiamo abbozzato? Siamo forse venuti qui soltanto per ascoltare una prolusione accademica? Possiamo tornare tranquillamente al lavoro che abbiamo interrotto, ai nostri “problemi filosofici”, alla costruzione della nostra propria filosofia? Possiamo seriamente farlo dopo che abbiamo scoperto con certezza che la nostra filosofia, come quella di tutti gli altri filosofi presenti e passati, non avrà che l’effimera esistenza di una giornata nell’ambito della flora filosofica che sempre di nuovo si rinnova e che poi torna a sfiorire? Proprio in questo sta la miseria di noi tutti, noi che non siamo filosofi letterari, noi che, educati dai veri filosofi del nostro
grande passato, viviamo nella verità e che solo vivendo così siamo e vogliamo essere nella nostra propria verità. Ma come filosofi del presente siamo caduti in una penosa contraddizione esistenziale. Noi non possiamo rinunciare alla fede nella posibilità della filosofia come compito, nella possibilità di una conoscenza universale. Noi sappiamo di essere chiamati a questo compito in quanto vogliamo essere seriamente filosofi. Eppure, come tener fermo a questa fede, che ha un senso soltanto in relazione con un fine uno, unico e a noi tutti comune, cioè la filosofia?
Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale
(a cura di Massimo Adinolfi)