Voi, elfi delle colline e dei ruscelli, dei limpidi laghi e dei boschi, e voi che correte sulle spiagge con piedi che non lasciano orme, inseguendo il flutto che si ritrae; voi minuscoli spiriti, che alla luce della luna segnate quei circoli magici da cui poi rifugge la pecora; voi che altra cura non avete se non di far spuntare i funghi a mezzanotte, che alla sera ascoltate con letizia il grave coprifuoco; voi, deboli come siete, mi avete aiutato a oscurare il meriggio, a scatenare dai loro antri impetuosi venti, a suscitare una rimbombante lotta tra il verde mare e l’azzurro cielo; ho acceso le formidabili folgori e spezzata la salda quercia di Giove con le sue stesse saette: ho fatto vacillare il monte di granito e sradicato pini e cedri. Al mio comando le tombe hanno svegliato i loro ospiti e, spalancandosi, li han lasciati uscire; tanto la mia arte era potente. Ma ora io ripudio questa fiera magia, e altro non chiedo che alcuni secondi di musica celestiale per operare come desiderio sui sensi di costoro; e poi spezzerò la mia verga magica, la seppellirò nelle viscere della terra, sommergerò il mio libro là, in fondo al mare, dove mai è giunto lo scandaglio.
William Shakespeare, La tempesta, Atto quinto, scena prima.
(a cura di Massimo Adinolfi)