Il caso editoriale del momento è senza dubbio l’esordio narrativo di Alessandro Piperno: Con le peggiori intenzioni (Mondadori). Esordio che di narrativo ha ben poco, proprio perché scritto con le peggiori intenzioni, tra le quali non figura quella di raccontare una storia; perché è un libro scritto per mostrare al lettore e al mondo come sa scrivere bene il suo autore, che è tutta un’altra cosa. Perché è un libro in cui dopo ogni aggettivo non puoi fare a meno di immaginarti Alessandro Piperno che si frega le mani per la superba trovata. Perché titolo, storia, personaggi e intreccio del romanzo non sono che un pretesto per mostrarci la sua meravigliosa aggettivazione.
L’incipit consiste nella diagnosi di un tumore alla vescica che spinge il nonno del protagonista a domandarsi se potrà ancora fare sesso o se invece sia la fine di tutto. Segue questo periodo, che riportiamo integralmente: “Sebbene tale dilemma possa apparire una patologica inversione delle priorità, per lui, nell’estremo frangente, risultò più spaventoso lo spettro della compromessa mascolinità che l’orrore del nulla: forse perché nel suo immaginario impotenza e morte coincidevano, anche se la seconda era preferibile alla prima, se non altro per il conforto dell’assenza eterna… O forse il salto nel buio che aveva condotto quest’uomo di successo alla bancarotta finanziaria era stato troppo fulmineo per non scalfirgli l’integrità emotiva”.
Se questo incipit vi convince, se suscita in voi la voglia di proseguire nella lettura, compratelo e siate felici insieme. Evidentemente, tra noi non poteva funzionare, ci spiace. Perché è stato solo per pavidità e ipocrisia, solo perché non avevamo il coraggio di parlarne dopo averne letto soltanto le prime dieci righe, che siamo arrivati sino a pagina 22 (ma il primo capitolo comincia a pagina 11, che è dunque il numero esatto di pagine che siamo riusciti a mandar giù). E abbiamo sbagliato, perché abbiamo dovuto notare “come i Sonnino ebraicamente prediligessero la dimensione interrogativa rispetto a quella asseverativa tipicamente cristiana” (pag. 14) e la passione per l’arte di Bepy che “sembrava gettarlo in un deliquio sensuale incompatibile con la sua fin troppo pubblicizzata compassatezza” (pag. 15) e il sipario che calava “su quel drammone in progress” (ibidem) che era la loro vita famigliare. Il punto non è se sia possibile parlare di un libro avendone lette appena undici pagine, ma se uno abbia o no il diritto di parlare di un libro di cui non ha potuto leggere una sola pagina in più.
Un tempo forse ci avrebbe pensato Nanni Moretti a rispondere agli elogi di tanti illustri opinionisti, come faceva con il critico cinematografico al quale rileggeva implacabile tutti gli sconclusionati paroloni scritti a proposito di Harry, pioggia di sangue. Allora però Moretti aveva ancora il dono dell’ironia – come tanti altri, prima che la lotta al regime e la gravità dell’ora presente imponessero ben altro contegno – e probabilmente avrebbe preso Piperno e gli avrebbe gridato in faccia: “Come parla?”. Ma forse è solo che siamo invidiosi anche noi, forse anche la nostra “integrità emotiva” è stata scossa dal successo di questo brillantissimo scrittore esordiente, classe 1972, che in pochi giorni sta vendendo carrettate di copie. O magari è la nostra patologica inversione delle priorità che ancora ci fa domandare, come Bepy Sonnino a proposito della sua vescica, se il fenomeno si sgonfierà in poche settimane o se sia davvero la fine di tutto.