Decollata nell’anno di grazia 1999 dall’irrequieta galassia compresa tra Mantova e Brescia, la band nota come L’Invasione Degli Omini Verdi giunge con l’ultimo Contro (2005) al terzo lavoro in studio, dopo l’esordio con Veniamo In Pace (2001) e il successivo Non E’ Un Gioco (2003), senza contare l’autoprodotto e omonimo demo del 2000. Di classica scuola punk, amano autodefinirsi discepoli dell’Hardcore più melodico. In effetti, gravitano in una nebulosa graziosamente sparsa attorno a queste due coordinate, energizzati dal debito rodaggio on the road e dalla frequentazione di altri dischi volanti italiani quali Moravagine e Derozer; l’esperienza “live” li vede anche protagonisti di un concerto con i guru americani Vandals.
Con questa esperienza, con un cambio di formazione già metabolizzato e con l’apprezzamento dei fan e dell’ambiente, arrivano a quello che sembra voler essere il disco della maturità: lo dimostrano il titolo (fin troppo) scopertamente programmatico e i testi che spaziano dall’introspettivo alla critica sociale, mescolando rabbia, sarcasmo e angosce esistenziali. La miscela è quella giusta, ma non tutto funziona proprio a dovere: l’astronave decolla e mantiene la rotta, la velocità poteva essere più alta. Fuor di metafora, se Contro ha un difetto è – per quanto possa suonare paradossale in simile contesto – un eccesso di controllo e di rifinitura. Non è necessariamente un dovere avere un sound “sporco” (qualunque cosa ciò voglia dire: qui, davvero, siamo nel territorio del gusto) per praticare l’hardcore; ciò non toglie che, in questa circostanza, il lavoro pulito delle chitarre e l’autocontrollo della sezione ritmica, mai oltre un certo limite, mantengano la temperatura lievemente al di sotto della gradazione più adatta. Adatta, beninteso, a testi del genere “Non serve capire il dissenso delle opinioni” (HC3), “E’ troppo tempo che decidono per te/Tutto ciò in cui credi è solamente ciò che vedi” (Vivi), “Se mi fermo a pensare mi sembra inutile/Soffocare il mio futuro/Per paura di perdere” (Sopravvivere). Sull’altro piatto della bilancia – o sull’altra ala della nave – non vanno sottovalutate la padronanza tecnica e del sound, con i suoi riferimenti a gruppi storici quali i Bad Religion. I ventisette minuti del cd, per quanto pochini in rapporto al costo (ma il team di produttori e sponsor depone a favore della fatica fatta per realizzare questo lavoro), scorrono senza intoppi e si riascoltano al volo. In ultima analisi, tutto questo significa discutere della differenza tra un ottimo lavoro e uno “solamente” buono; è probabile che la dimensione dal vivo aggiunga ai brani le gocce di sudore mancanti per un’adeguata spinta inerziale.