Ragassòl, recà, citti, picciotti, guaglioni. In Italia – il paese dalle cento lingue – “ragazzi” si dice in varie maniere. Avrebbe potuto lisciare il pelo al campanile Berlusconi e, scegliendo un nome modulato a seconda della latitudine, targhettizzare il pubblico città per città. E invece si chiamerà più universalmente “Forza ragazzi” la nuova struttura di propaganda dei giovani volontari che avrà il compito – sotto la guida di Maurizio Scelli – di scaldare il cuore dell’elettorato di Fi in vista delle prossime Politiche. Meglio di “Onda azzurra”, che faceva un po’ troppo tsunami, peggio di “Forza Italia”, che è la madre di tutte le esortazioni. In più – in “Forza ragazzi” – c’è una sana dose di paternalismo, che non guasta mai: la pacca sulla spalla ai maschietti e il pizzicotto carezzevole alle femminucce. Invece che un’avanguardia rivoluzionaria radicata nel territorio però, le truppe incravattate e tailleurate del Cavaliere somiglieranno a una vera e propria divisione marketing, che batterà sì il territorio, ma più che esaltare le preziose energie locali se ne servirà per fare il pieno di voti. Ma – forse ragazzi – non è questa la differenza tra un partito vero e un semplice cartello elettorale?