Industriali banchieri cardinali

Sabato il presidente della Confindustria Montezemolo ha spiegato agli industriali che l’Italia non può permettersi un anno di campagna elettorale. Poche settimane fa il cardinal Ruini ha spiegato ai fedeli che l’Italia non può permettersi nemmeno un giorno di campagna referendaria. Negli stessi giorni il governatore Antonio Fazio ha spiegato ai banchieri che l’Italia non può permettersi un’eccessiva apertura alla concorrenza straniera. Spiegazioni tanto più convincenti dopo che gli spieganti hanno incassato o si sono apprestati a incassare – rispettivamente – i ripetuti atti di omaggio di tutte le forze politiche; il silenzio sulla campagna referendaria e probabilmente anche il voto fissato in piena estate; la ritirata della maggioranza sulla riforma del risparmio e in particolare su durata e poteri del governatore della Banca d’Italia. Si direbbe pertanto che il parlamento sia ormai l’unica azienda pienamente contendibile sul mercato italiano, dove i partiti democratici sono incalzati da raider di ogni genere, patti di sindacato e cordate di interessi più e meno ostili.
Da un lato il terzismo interessato di tanta parte del mondo industriale, dall’altro lo schierarsi aperto e pesante della Conferenza episcopale, in mezzo (a destra e a sinistra, sopra e sotto tutto e tutti) le banche. Non è un mistero che tutti questi soggetti – il grande industriale, il grande banchiere e il grande cardinale – abbiano un nemico: il bipolarismo, unico reale intoppo al libero e pieno dispiegarsi delle loro strategie. Eppure, nonostante la battaglia continui a infuriare da oltre un decennio, nonostante le ricorrenti e interessate indiscrezioni su grandi manovre e nuovi fantomatici grandi centri, la verità è che questo variegato schieramento finora ha mostrato di avere soltanto – “soltanto” si fa per dire, si capisce – un enorme potere di interdizione. Di qui i ripetuti attacchi alla leadership di Prodi come a quella di Berlusconi, il tentativo di mantenere aperta in Italia un’anacronistica questione di legittimazione a sinistra, con la conseguente sovraesposizione di Bertinotti e della sinistra radicale, ma allo stesso tempo il moltiplicarsi delle critiche nei confronti del governo e della maggioranza. Il desiderio inconfessabile è quello di destabilizzare l’assetto bipolare, far fallire il tentativo di riaggregazione guidato da Prodi nel centrosinistra e al tempo stesso contribuire alla caduta di Berlusconi. Una strategia in cui si mette in conto la probabile vittoria del Professore nel 2006 e si comincia sin d’ora a piantare i paletti su cui si attende di vederlo cadere a sua volta. La scomposizione dei poli e il ritorno al sistema proporzionale sancirebbero così il ritorno a un’altra Italia, in cui la voce del grande industriale, del grande banchiere e del grande cardinale tornerebbero a dettare legge. E più ancora che in passato, in un panorama politico desertificato dalla frammentazione e dal nanismo di tutti i partiti.
Ma se quella è un’altra Italia è perché oggi sono altri gli italiani. Perché sono altri gli imprenditori e sono altri i cattolici. Perché a ognuno dei tre personaggi di questa storia non mancano certo i cannoni, ma mancano le truppe. Per questo, nonostante tutto, il sistema bipolare è ancora in piedi. Per questo, nonostante tutto, saranno ancora gli elettori a decidere chi dovrà guidare il paese. E anche per questo noi voteremo ancora per il centrosinistra e per la lista Uniti nell’Ulivo.