Messa sul tavolo regionale dagli Usa con l‘intervento in Iraq, con un azzardo degno del miglior poker, la carta sciita sta oramai sconvolgendo i territori della finora sonnacchiosa politica mediorientale. Per quanto riguarda l’Iraq, il fatto è oramai evidente a tutti: gli sciiti sono destinati a prendere il potere. Hanno vinto le elezioni e tutti attendono di capire quali rapporti intratterranno con l’Iran – che da accerchiato è diventato, usando la forza dell’avversario Usa in una sorta di “Judo politico“, accerchiante – e quale tipo di società abbia in mente l’Ayatollah Sistani. Sorge e cresce così la mezzaluna sciita, allungando la sua ombra non solo su tutto il Golfo, dove gli sciiti sono maggioranza (finora repressa) nel Bahrein e importante minoranza nel sud est dell’Arabia saudita (ricco di petrolio). Ma anche sul Libano, dove negli ultimi vent’anni gli sciiti sono tanto cresciuti di numero da mettere sotto pressione la tradizionale divisione dei poteri tra cristiani, sunniti e sciiti, che si fondava sulla relativa (al momento del “Patto Nazionale” del 1943) equivalenza demografica delle tre comunità.
Ciò che sta succedendo in Libano, infatti, non è una lotta tra libanesi e siriani – che nessuno, nemmeno Hizballah, ama in quanto tali – bensì uno scontro nazionale tra libanesi. Uno scontro su quale Libano ci dovrà essere nel futuro. Certo, esiste anche una generazione di giovani libanesi che paradossalmente si sentono panarabi – grazie alle televisioni satellitari come Al-Jazira, che diffondono e radicano l’arabo standard moderno anche come lingua parlata, dominio prima riservato solo ai dialetti – e che avvertono meno il vincolo confessionale; ma occorre davvero interrogarsi sulla loro attuale consistenza numerica e politica, e se non siano utilizzati da alcuni confessionalismi – come i cristiani, i drusi, e i sunniti – per ottenere obiettivi politici al cui raggiungimento farebbe presto seguito la fine della cosiddetta “primavera libanese”. Insomma, anche in Libano gli equilibri sono cambiati perché la comunità sciita – una volta ammessa al tavolo dall’intervento Usa in Iraq – ha chiesto la verifica del numero legale. E alla conta ha fatto notare come fosse quasi raddoppiata la sua consistenza numerica, come si fossero di conseguenza assottigliate almeno relativamente quelle degli altri gruppi etnico-religiosi, pretendendo di contare in quota parte.
Che in Libano oggi sia in questione il futuro assetto del paese, e non la sua indipendenza dalla Siria, appare da molti fattori. Il più importante è sicuramente la risoluzione 1559: il suo punto più controverso nel paese dei cedri non è la prima parte “nazionalista” (che chiede il ritiro siriano), bensì la più “interna” seconda (che chiede lo smantellamento di tutte le milizie armate, tra cui dunque i 20mila uomini di Hizballah). In fondo, il 44enne sceicco Nasrallah – capo di Hizballah dal 1992, quando il Mossad uccise lo sceicco Abbas Musaui – nel suo discorso davanti alla folla sterminata di libanesi sciiti che hanno invaso Beirut il 12 marzo non ha parlato, come al solito, della liberazione di Gerusalemme, bensì del futuro del Libano. E quel raduno – a cui poi ha risposto l’altra metà cristiana, sunnita e drusa del Libano qualche giorno dopo – è stato simbolico e inusuale per molte ragioni, a partire dall’assenza del simbolo di Hizballah – una bandiera verde e gialla con raffigurato un pugno che brandisce un Kalashnikov – e il dilagare di bandiere libanesi, per finire alle riprese fatte dalla Tv di Hizballah, Al Manar, concluse con l’immagine della stessa bandiera.
Si tratta di processi politici dagli esiti imprevisti, che oggi toccano il Libano e domani possono cambiare in modo imprevisto tutta la regione. Per questo Mubarak è corso ieri a Damasco e martedì la Lega Araba terrà un suo vertice ad Algeri. Lo sforzo di tutti è quello di scrivere un nuovo accordo di Ta’if – località saudita dove nel 1989 furono firmati gli accordi che posero fine alla guerra civile libanese in atto dal 1975 – e per questo scopo si sono mobilitati i sauditi, che tradizionalmente aspirano a giocare un ruolo in Libano. Per questo Walid Jumblatt – capo dei drusi libanesi – è segretamente volato a Riad qualche giorno fa, tornandone con parole più rispettose verso i siriani. Bisogna far presto, prima che Hizballah chieda ai siriani il pagamento del credito politico maturato con la loro difesa. E prima che il disequilibrio inneschi magari un’altra guerra civile, stavolta tra due metà – una però omogenea e ben armata, l’altra composita e unita solo nella contrapposizione – invece che fra tre terzi. In Libano e non solo la questione sciita è all’ordine del giorno. Martedì sarà all’ordine del giorno per l’intera Lega Araba.