La Scala senza qualità

Le dimissioni di Riccardo Muti dal Teatro alla Scala rappresentano una disarmante sconfitta per la musica italiana. Durante quasi venti anni, il rapporto tra Muti e i filarmonici della Scala aveva già resistito a numerose schermaglie, spesso risolte con dignità (rimane negli annali l’episodio in cui, durante uno sciopero degli orchestrali, Muti placò il pubblico inferocito mettendosi al piano e accompagnando i cantanti nelle arie della “Traviata”). I passaggi di mano in amministrazione, la trasformazione in fondazione a diritto privato e tutti gli altri elementi di contorno non avevano, ancora, intaccato i risultati artistici della prestigiosa istituzione. Dopo lo smembramento di tante orchestre, la Scala era rimasta l’unico faro per i melomani italiani.
La storia della musica ci insegna che lavorare con i grandi direttori non è mai stato facile. Quello che però ci resta di Toscanini, di Karajan e di altri maestri dal carattere non propriamente affabile è il loro alto magistero artistico, maturato da lunghi e produttivi rapporti con le orchestre. Le grane sindacali e le bagarre con i sovrintendenti ci saranno anche state, ma non hanno mai fatto notizia e, soprattutto, non hanno compromesso la qualità del loro lavoro.
In Italia i talenti musicali non sono mai mancati ma, evidentemente, durante gli studi si viene forgiati a una mentalità individuale, che poco si presta al suonare in un’orchestra per contribuire a renderla grande. Non mi ha meravigliato conoscere in Irlanda un ex orchestrale di un blasonato teatro italiano che aveva cambiato vita e mestiere, non potendone più di un ambiente frustrato e frustrante.
In altri paesi gli orchestrali sono fieri di appartenere alle istituzioni musicali e le orchestre raggiungono ben altri risultati. I Berliner Philarmoniker, per esempio, il direttore se lo scelgono da soli (come gli scaligeri vorrebbero fare) ma lì, ogni due anni, ogni elemento si sottopone a un esame di conferma, giudicato dal resto dell’orchestra. Cosa potrebbe succedere a Via dei Filodrammatici in caso di esami di conferma agli orchestrali lo lascio immaginare a chi legge. Per Muti, alle soglie dei sessantaquattro anni, non si prospetta il destino di Claudio Abbado, che dopo essere stato cacciato dagli orchestrali della Scala nell’86, ha costruito in Austria e in Germania la sua figura di “legenda del podio”; ma le proposte estere che non gli faranno rimpiangere Milano non mancano. E il destino della Scala? Qualcuno nel panorama dei grandi direttori si può sentire stimolato ad assumere l’incarico dopo episodi di questo genere? >