A heroic monster of an album”, così Rolling Stone ha battezzato “Worlds Apart”, quarta fatica della band nota con il succinto nome di And You Will Know Us By The Trail Of Dead. Una definizione azzeccata, considerato che il gruppo fa, qui, proprio il contrario di quello che ogni buon produttore consiglia: scegliere di testa propria, seguendo l’istinto (musicale) a scapito della ragione (commerciale, senza che ciò voglia suonare negativo in sé); indifferenti al mainstream, al momento, alle classifiche. Incidere, insomma, all’altezza della fama di gruppo anarcoide e animalescamente “live” costruita dal 1994, quando Jason Reece (voce/chitarra/batteria) e Conrad Keely (voce/chitarra), accomunati dall’amicizia e dalla locazione geografica (Hawaii), uniscono i loro sforzi in un collaudo on the road fino al trasferimento a Austin, Texas; qui, reclutati il chitarrista Kevin Allen ed il bassista/campionatore Neil Bush, compongono la formazione-tipo e dopo un live autoprodotto di presentazione bussano alle porte degli studios per il primo lavoro ufficiale. Uscito nel 1998, “A.Y.W.K.U.B.T.T.O.D.” dimostra la vocazione del gruppo per la miscellanea e i riferimenti a-temporali: rock, trash e psichedelia mescolati per un risultato che, seppur discontinuo, attira sulla band una certa attenzione; non è così per la casa discografica che chiude i battenti. Senza perdersi d’animo, i T.O.D. si riaccasano e pubblicano “Madonna” (1999), meno fresco del precedente ma altrettanto vario, anche se ricorre nei giudizi il paragone con i primi Sonic Youth. Una pausa di riflessione di tre anni e una terza casa discografica consentono la maturazione di “Source Tags & Codes”, cui arride anche un buon successo di vendite. I T.O.D. definiscono il loro stile irruento e sregolato dal punto di vista dei canoni, dividendo l’audience rigorosamente a metà: chi li apprezza in pieno e chi li trova oltremodo irritanti; tra questi ultimi, si giudica “Source…” un sottoprodotto di Fugazi e Pearl Jam. Indifferenti alle insinuazioni, i quattro macinano uno show dietro l’altro, demolendo con la loro energia i dubbi suscitati dalle prove in studio. E dopo l’ep “Secrets Of Elena’s Tomb” (’03) raggiungono l’apoteosi con “Worlds Apart”, sorta di glam/prog/trash opera, un patchwork musical-strumentale come non si ascoltava dai tempi di “School’s Out” di Alice Cooper, effetti e orchestra inclusi. Testi in apparenza poco profondi e tendenti al cliché adolescenziale nascondono rasoiate bizzarre e affascinanti quanto il sound: “Look, boys and girls, here’s BBC/See corpses, rapes, and amputees/What do you think now of the American dream?” (“Worlds Apart”) e “The curtain thins/Violins announce the score is over/The symphony dears the folded chairs/And walk towards the snack bar/And I forget what the libretto was all about” (“All White”) spiccano in una serie di osservazioni finto-casuali e casualmente auto-riflessive, naso all’insù, berretto all’indietro e birra in mano.
Nel testo di “Release” appare il verso “Hear the monster screaming ‘what have I become?’”; sembra il preludio al già citato giudizio di Rolling Stone, oltre al ritorno di un sempreverde della psicologia rock. Non che s’intravedano pericoli: siate gentili e questi mostri lo saranno con voi.