Possibile che non si riesca mai a sapere nulla con assoluta certezza? Non pretendo che si sappia certamente dove stiano il bene e il male, e se esista una verità con la maiuscola, ma che almeno nelle faccende quotidiane uno non debba darla vinta a relativisti e scettici, quello sì! E invece no, tutto rotola dal centro verso la x, e le cose te la fanno sotto al naso: cambiano che neanche te ne accorgi.
Prendiamo un metro, ad esempio. Non si fa neanche a tempo a depositare a Parigi una bella barra di platino lunga la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre e ad adottarla come metro campione, e il Bureau International des Poids et Mesures non ti scopre che la barra è più corta di 0,17 millimetri? E cosa si fa, allora? Si decide, perbacco: tanto peggio per il meridiano, ci teniamo la barra, e anzi la sostituiamo con un’altra in lega di platino-iridio: inalterabile, indeformabile, perfetta. Ma niente da fare: spuntano delle irregolarità. L’indeformabile barra non ne vuol sapere di star dritta e ferma: si deforma, e così non si può esser certi che rimanga sempre uguale. Per fortuna la scienza e la tecnica nel frattempo hanno fatto progressi, ed ecco pronto il nuovo metro, definito come “la distanza pari esattamente a 1.650.763,73 lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica dell’isotopo 86 del cripto”. Non chiedetemi di spiegare la cosa: non saprei farlo. Per fortuna, però, non è necessario. Tempo qualche anno, e si è scoperto che neanche così va bene, ci sono margini di errore – minimi, ma ci sono – e dal 1984 il metro è diventato lo spazio che la luce percorre nell’intervallo di tempo di 1/299.792.458 secondi. Ed ecco cos’è il metro, almeno per il momento.
Ora, però, in tutti questi anni in cui scienziati di chiara fama si disperavano a Parigi e nel mondo alla ricerca del campione perfetto, le nostre nonne e mamme avranno pur comprato qualche metro di stoffa dalla merciaia all’angolo, e voi stessi, se non ieri in settimana o semel in anno, avrete pur mangiato la pizza a metro. E saprete anche quanto siete alti, benché non siate in grado di stabilire la cosa in rapporto al tempo che la luce impiega per sfiorarvi prima l’alluce e poi i capelli. E come diavolo è possibile, visto che non sapete precisamente, esattamente, assolutamente, quanto sia lungo un metro?
Forse è possibile proprio perché il diavolo non c’entra. Se è vero infatti che il diavolo sta nei dettagli, per fortuna certi dettagli non rilevano nella vita ordinaria, e il centimetro della merciaia, la teglia del pizzaiolo e il vostro metro di plastica adempiono come devono al loro ufficio: con tutta la buona approssimazione del caso. Perché questo è il punto: l’approssimazione è buona, e l’esattezza assoluta non esiste, e le misurazioni che sono esatte in merceria non lo sono in laboratorio (ma anche viceversa: altrimenti la nostra merciaia non spiccerebbe due clienti in un’ora). Misurazione significa comparazione, e una comparazione assoluta non esiste: è anzi una contraddizione in termini. Esistono molte misure, e non è che siano meno misure per il fatto che siano molte e non siano assolute. Si riesce a convenire lo stesso su una misura comune, anche se un giorno la misura cambierà. E si riesce a convenire per la buona ragione che conviene: si vende la stoffa e si compra la pizza.
Ma se così stanno le cose persino nel campo della conoscenza, perché nel campo della morale si vuole invece una verità più indeformabile di una barra di platino-iridio? Perché spacciare per naturalmente valide cose che naturali non sono, e che se anche fossero naturali non per questo sarebbero assolutamente valide? Perché, se persino il depositum fidei muta, e quel che un cristiano crede oggi non è il medesimo di ciò in cui credeva ieri? E di cosa si ha paura: che davvero vada tutto a rotoli? Ma perché, legge di Murphy a parte, dovrebbe andarvi? Perché il cambiamento deve essere considerato per principio un pericolo, salvo ricredersi a cambiamento avvenuto? E’ curioso che spesso si ragioni così: le sfide che oggi la scienza e la tecnica ci pongono sono enormi, epocali, dunque preferiamo non affrontarle. Eppure il motto dell’illuminismo era: sapere aude!, abbi il coraggio di sapere. Oppure: nulla che sia relativo ha davvero valore. Ma così non è spacciata solo la merciaia, ma tutti coloro che vogliono poter distinguere il meglio dal peggio, anche senza avere sottomano un papa e una summa theologica che li conforti. (La quale summa è forse la cosa più importante che c’è, ma in altri campi, in altre sfere dell’esistenza diverse dalla dimensione pubblica del vivere civile).
Si dirà che questo è solo buon senso. Infatti: non c’è molta filosofia, è buon senso. Ma è filosofia, e di quella buona, credere al buon senso nelle cose di buon senso. E lasciare che col buon senso ciascuno cerchi, con tutta la passione di cui l’uomo è capace e l’amore per la verità e l’esultanza della scoperta, il senso buono della sua vita.