Si può riconoscere l’umanità di ciò che non parla, non ha un volto né occhi né mani, non prova dolore né potrebbe provarne, non possiede un cervello né un sistema nervoso né un cuore, non pensa e non sogna, è invisibile a occhio nudo? A me pare che buona parte della decisione circa che cosa votare ai referendum del prossimo 12-13 giugno, o almeno ai primi tre quesiti proposti al voto, dipenda dalla risposta che, in coscienza, ciascuno può dare a questa domanda. Che cosa posso fare se, attraverso il percorso degli inevitabili dubbi e del confronto con chi la pensa diversamente da me, a tale quesito devo rispondere affermativamente?
Non voglio discutere, in questa sede, di due questioni. La prima: quanto l’invito all’astensione, motivato da ragioni simili alle mie, complichi la questione sul piano strettamente politico e, per così dire, tattico. Noto solo, di passaggio, che la scelta di molti di sponsorizzare l’astensione al posto del No rende il ragionamento e la scelta ben più difficili non solo e non tanto ai sostenitori del Sì (i quali possono con qualche ragione gridare all’opportunismo e all’ipocrisia degli astensionisti, ma non avranno comunque remore di alcun tipo a recarsi alle urne e a esprimere l’identico voto che avrebbero espresso in caso di fronte a loro ci fosse un compatto fronte del No) quanto proprio a me e a coloro che condividono il mio orientamento di voto. La seconda: il quesito riguardante la fecondazione eterologa. È un quesito nel quale entrano in gioco motivazioni e valutazioni così complesse e articolate che mi pare non possano svolgersi negli spazi necessariamente limitati di questo articolo.
Torno al punto: l’embrione è umano? Io so una cosa, e mi pare di saperlo con ragionevole certezza: laggiù, là dentro, c’ero io. Se quel grumo di cellule che io fui fosse stato, per qualsiasi buona ragione, tolto di mezzo, io ora non sarei nulla di ciò che sono. Io ora non sarei nulla. Sul piano logico, è vero, si può distinguere tra la ragione necessaria e quella sufficiente. Quell’embrione che si formò per vie del tutto naturali nel grembo di mia madre nella tarda estate del 1966 non aveva in sé né conteneva in alcun modo nessuna delle esperienze che mi hanno formato: non le letture che mi hanno commosso, non gli incontri che mi hanno plasmato, non le donne di cui – felicemente o meno – mi sono innamorato, non i luoghi che ho visto e amato e detestato, non i motivi in fondo imperscrutabili per cui prediligo il ciclismo al calcio, Bugno a Chiappucci, la musica di Mozart a quella di Wagner, l’interpretazione della Rivoluzione francese di Furet a quella di Hobsbawm, il pensiero di Pascal a quello di Spinoza. Tuttavia: nell’esserci o nel non esserci di quell’embrione ne andava tutto di me, ciclismo Bugno Mozart Furet Pascal compresi.
Una parte di quel che ora sono, e che certamente non era predeterminata da ciò che quell’embrione era allora, rifugge l’idea stessa che un essere umano possa essere messo al mondo altrimenti che dentro un atto di amore fisico tra due altri esseri umani. Da laico e liberale (quel laico e liberale che sono diventato perché quell’embrione, che naturalmente non era né laico né liberale, non è stato annichilito), capisco che questa mia visione etica possa non essere condivisa da tutti, e quindi comprendo come una legge di uno stato laico (cioè non etico) possa consentire, quando la tecnica approdi alla possibilità di farlo, la produzione di vita umana secondo altre modalità. Io scelgo di non avvalermene, altri – se la coscienza non li sconsiglia – lo facciano pure.
C’è però un limite che non posso accettare che venga oltrepassato: gli embrioni umani devono poter essere prodotti solo perché l’umanità che essi sono possa vivere. Riconosco i buoni motivi che portano alcuni a sostenere la sacrificabilità di una parte degli embrioni prodotti. Non mi sembrano buoni abbastanza. Ciò che mi pare giusto, e per cui voterò tre “no” ai primi tre quesiti referendari, è che l’embrione umano non sia producibile per essere sacrificato, né a favore dell’impianto di altri embrioni, né a favore della ricerca medica, né a favore della salute della donna che vuole diventare madre (noterò un’altra cosa di passaggio: ciò non intacca minimamente il tema dell’aborto, che riguarda una donna che non vuole diventare madre, e la cosa mi pare faccia molta differenza).
Non mi sembra consistente l’obiezione di chi sostenesse che una legge modificata nel senso dei quesiti referendari non comporterebbe, per me, alcun obbligo teoretico né pratico, e darebbe a chi la pensa diversamente da me la libertà di agire conformemente alle proprie opinioni. Non mi sembra consistente per un motivo che non c’entra con la bioetica, ma con la politica: tanto varrebbe sostenere che una legge non possa vietare, ad esempio paradossale, il furto, giacché essa non comporterebbe alcun obbligo di rubare per coloro che continuassero a ritenere il furto eticamente non accettabile. Il riconoscimento dell’umanità dell’embrione è, per me, alcunché di universale, in cui ne va della mia stessa umanità. La difesa della sua non sacrificabilità riguarda me, riguarda la difesa della non sacrificabilità di ciò che è umano, che è cosa alla quale tengo per me e per tutti coloro che convivono con me, anche qualora essi stessi non ne fossero convinti.
Un’ultima cosa, per rispondere a chi si figura il fronte del No (e dell’astensione) popolato di rozzi reazionari, di violenti sanfedisti, di nemici dell’umanità, della donna, della libertà: non riterrò, come non ritengo ora, che chi non riconosce razionalmente ciò che io capisco sull’embrione sia un assassino o una sorta di dottor Stranamore della bioetica o un alacre lastricatore della via dell’inferno. Penserò, semmai, che ci sarà da ragionare, da affermare ragioni, da continuare a scrivere. Se c’è una cosa che si può evincere con evidenza da tutta la questione in gioco è che, data la sua complessità e la sua articolazione, in essa ci sono ben poche evidenze. Che cosa succederà se i referendum dovessero avere esito favorevole ai Sì? Semplicemente, continuerei a discutere. E che cosa succederà se i referendum dovessero fallire? Semplicemente, continuerei a discutere.