Raramente i cittadini rispondono alla domanda posta loro da una consultazione elettorale. Come in una pièce di Samuel Beckett, dove alla domanda: “Che ore sono?” l’interlocutore risponde: “Sempre le stesse”, così gli elettori francesi e la maggior parte degli europei spesso manifestano la convinzione che in politica il tempo si sia fermato: anche il gioco dei partiti ora al governo ora all’opposizione appare sempre lo stesso. E i cittadini accordano il loro voto a formazioni radicali e antisistema, ritenendole le sole capaci di rompere l’orologio incantato. Nella politica francese da decenni dominata dalla figura di Jacques Chirac si tratta di un’analisi che ha un suo fondamento. Ed è difficile non vedere nel No al referendum sulla costituzione europea anche un po’ di quel rimpianto che animava le parole di altri due celebri personaggi di Samuel Beckett mentre ricordavano i bei tempi andati, quando uno di loro dichiarava: “Insieme, saremmo stati i primi a gettarci dalla Torre Eiffel. Allora sì che ce la passavamo bene. Ma oramai è troppo tardi. Non ci lascerebbero nemmeno salire”. I sostenitori del No, come spiega Massimo Adinolfi in Seconda pagina (vedi qui), hanno voluto provare quell’ebbrezza. E in molti li hanno lasciati salire.
A lasciarli salire è stato innanzi tutto il riformista Laurent Fabius, ex primo ministro e pupillo di Mitterrand, giovane dirigente socialista modernizzatore e spregiudicato, che si è reso responsabile della più insensata e drammatica spaccatura all’interno del suo partito: si è posto alla guida del No in nome dell’Europa sociale, del freno alla globalizzazione e all’egemonia politica e culturale anglosassone. Gli stessi argomenti che in Italia hanno spinto Bertinotti e il suo partito a votare contro la ratifica in parlamento. Per opposte ragioni, ma con ben maggiore aderenza alla realtà, Stati Uniti e Gran Bretagna si auguravano di tutto cuore la vittoria del No. Come mostra anche la copertina dell’Economist (vedi qui), i fautori dell’egemonia angloamericana e dell’indebolimento dell’Europa come soggetto politico erano i primi a sperare nel naufragio dell’unico tentativo di dare un fondamento giuridico e ideale a quel progetto.
A lasciarli salire è stata anche quella sinistra socialista che si è troppo facilmente schiacciata sulle posizioni di Chirac per affondare con lui, come scrive Andrea Romano (vedi qui), “nella palude nazionalista che si era costruito con le proprie mani, specie nei mesi del conflitto iracheno”. Del resto, dai tempi del traumatico ballottaggio tra Le Pen e Chirac, non era la prima volta che agli elettori socialisti si chiedeva di votare per il presidente neogollista. Perché questo a molti è sembrato il voto sulla Costituzione europea. Non c’è da stupirsi se questa volta molti di loro hanno detto di no.
A lasciarli salire sono stati giovani leader promettenti, riformisti e liberali, come l’attivissimo alfiere del No Laurent Fabius e come il reticente difensore del Sì Nicolas Sarkozy, entrambi troppo presi dalle proprie personali ambizioni e dal desiderio di scalzare i rispettivi leader di coalizione per preoccuparsi seriamente delle conseguenze delle loro scelte. E qui ci verrebbe voglia di paragonarli a qualche leader politico del centrosinistra italiano e alle convulsioni di un’altra Unione, ma preferiamo non partecipare al gioco e non esortare nessuno dei protagonisti a salire in cima al Colosseo, come quei surreali personaggi di Beckett, per gettarsi di sotto o per vedere l’effetto che fa.