Un’indagine condotta l’anno scorso dall’Osservatorio Sodalitas-HayGroup dice che chi lavora nel mondo del no-profit spesso trasmigra ad altra occupazione. Ogni anno infatti circa il 25% dei dipendenti lascia. Colpa di stipendi troppo bassi. Naturalmente non si deve fare di tutto il no-profit un fascio. E’ una realtà composita il no-profit. Noi parleremo di uno spicchio di mondo che conosciamo: le cooperative sociali per servizi socio-assistenziali. Il “bel lavoro”, ricco di relazioni sociali, di carica emotiva e motivazionale (si lavora con chi soffre, mica con i circuiti elettrici!) è spesso una sorta di caporalato desindacalizzato. Si piglia il giovane psicologo che “intanto faccio pratica”, lo scout che ci sa fare, il fricchettone che “stabilisce una complicità col deviante”, li si fa soci e li si piazza a svolgere (bene) un compito difficile, con una paga da stiratrice (con tutto il rispetto per le stiratrici), in sostituzione di Asl e Servizi sociali comunali un po’ in affanno di bilancio. E’ la sinergia tra Amministrazioni pubbliche e privato-sociale. Che quasi sempre è cattolico o di sinistra. Ora, al netto di ogni retorica su solidarietà, attenzione all’altro eccetera, bisognerebbe interrogarsi bene su quel turn-over messo in luce dall’Osservatorio. E lo dovrebbe fare il sindacato. Cattolico e di sinistra.