Urla di dolore e di esaltazione. L’oscurità della notte, la cortina di fumo delle esplosioni. La battaglia è al culmine, è quel momento di stallo in cui la sorte sta per essere segnata. In un attimo, sarà vittoria o disfatta. Intanto, si danza attorno all’orlo del precipizio. “Blessed Black Wings” (’05) conferma gli High On Fire come uno dei gruppi più innovativi della nuova scena metal: formazione a power-trio, nascono nell’estate del ’98 per iniziativa del chitarrista Matt Pike, dopo il deludente esito del suo precedente progetto, gli Sleep. Al termine di numerosi provini, Pike trova nel batterista Des Kensel e nel chitarrista George Rice (spostato al basso) due perfette colonne di granito sulle quali erigere la preziosa, barocca architettura disegnata dal suo debordante talento. Rispetto agli Sleep, caratterizzati dalla riflessiva lentezza del doom, gli H.O.F. scelgono non la direzione di marcia opposta ma tre marce in più: sulla classica base Black Sabbath, inseriscono elementi hard, stoner e doom shakerati a velocità di fuga; e se la mistura ha ingredienti antichi, è proprio la preparazione a conferire un sapore nuovo e originale. Il segreto, oltre al sudore spillato e all’impeto conferito a ogni solco, sta nell’ottenere il monolitismo comune a doom e stoner non con l’incedere solenne, ma con la frenetica velocità di un ultimo assalto: un sound che evoca battaglie epiche e tragiche; carneficina sonora che prepara l’istante in cui ci si lancia fuori dalla trincea, sotto tiro. In questo contesto, la scelta di testi d’ispirazione fantasy-metal, filone già saturo, non sorprende ma delude un poco: non è obbligatorio il messaggio sociale; tuttavia, con un impatto del genere, un immaginario non ristretto a dungeons-and-dragons renderebbe gli H.O.F. ancora più interessanti di quanto già non siano.
L’esordio discografico è del ’99 con un demo autoprodotto che attira la Man’s Ruin Records e una ristampa come mini-cd di tre tracce. Per tutto l’anno gli H.O.F. incidono in preparazione dell’esordio full-lenght che arriva a marzo 2000. “The Art Of Self Defence”, ancorché acerbo, presenta i caratteri del percorso futuro e riscuote vasto consenso. La chiusura della Man’s Ruin lascia il gruppo senza produzione e distribuzione fino all’offerta della Relapse Record con cui incidono nel 2002 “Surrounded By Thieves”, doppiato quest’anno da “Blessed Black Wings”. Molto simile al precedente – cio che è, qui, un elemento a favore – “Blessed…” conferma lo spessore della band e il ruolo nell’evoluzione del metal odierno; il cambio al basso tra Rice e Joe Preston (Thrones/Melvins) nulla modifica in potenza e preziosità sonora, così come il produttore-star Steve Albini non impone concessioni mainstream. Difficile fare previsioni, ma la duttilità di brani come “Devilution” (grande intro di batteria), “The Face Of Oblivion” e “Sons Of Thunder” fa ben sperare, specie se il gruppo saprà evitare i due rischi opposti cui, fatalmente, va incontro: chiudersi nell’autoreferenzialità di nicchia o puntare al record di vendite. Intanto, sull’orlo del precipizio, danzano benissimo.