Nel libro che fra pochi giorni verrà dato alle stampe e di cui il Corriere della sera ha offerto qualche anticipazione, Papa Benedetto XVI riprende una proposta che già altre volte ha rivolto ai laici, questa: capovolgete l’assioma degli illuministi, l’etsi Deus non daretur nel cui segno nasce la modernità, poiché “anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse”. Solo se postuliamo l’esistenza di Dio, è il ragionamento del Papa, disponiamo di un criterio per fondare la morale. Senza il criterio, l’esito scettico e relativistico della modernità sarebbe inevitabile. Aspetteremo di leggere con attenzione il libro, ma intanto sappiamo già che il Presidente Pera, che ne ha scritto l’introduzione, trova che la proposta sia senz’altro “da accettare”: cerchiamo allora di accogliere il suggerimento e proviamo a prenderla in seria considerazione anche noi. E poiché il Papa si riallaccia esplicitamente alla famosa scommessa di Pascal, i conti li faremo proprio con Pascal, che era un matematico e di conti se ne intendeva, per vedere se convenga o meno fare come se Dio ci fosse.
Pascal ragionava (in breve) così: Dio è una promessa infinita di felicità; a un gioco in cui si punta un bene o una somma di beni finiti per avere in cambio un bene infinito conviene partecipare, purché la probabilità di vincita sia essa stessa un numero finito. A parte una certa esitazione sull’attribuzione del grado di probabilità all’esistenza di Dio (esitazione perdonabile, visto che Pascal il calcolo lo stava per l’appunto inventando in quel frangente) quel che colpisce nel ragionamento di Pascal non è qualche sua debolezza, ma la sua eccessiva forza. Pascal prova troppo, infatti: dinanzi all’infinito promesso, la vita da scommettere non può valere che nulla, ma se la vita non vale nulla non c’è nulla da scommettere. E infatti: non è mica una scommessa quella in cui, come Pascal scrive, si ha “tanta certezza di guadagno e tanta nullità in ciò che rischiate”. Il fatto è che la scommessa è davvero conveniente solo se quel che si punta è pari a nulla, ma se è pari a nulla non è affatto una scommessa.
Che cosa sia allora l’illusionistica macchina argomentativa allestita da Pascal non è difficile vedere. Nessuno attribuirebbe valore nullo alla propria vita, come Pascal pretende, se non confidasse già nell’altra vita, nell’infinita beatitudine dell’altra vita: costui dunque non scommetterebbe affatto, perché crederebbe già. La scommessa è cioè una cartina di tornasole: rivela a chi è disposto a scommettere che è per ciò stesso un credente, e a chi non è disposto, poiché per lui la vita è tutto e non c’è probabilità di un’altra vita che possa essere più grande del tutto della vita terrena, a costui rivela quel che già è: un non credente. Lungi dall’essere il gioco decisivo, la scommessa mostra insomma quel che è già deciso. Conclusione: fare come se Dio ci fosse riesce davvero solo a chi già crede che c’è.
Ma Papa Benedetto parla d’altro. Parla della morale e del suo necessario fondamento teologico, perché non tutto sia permesso. Ma è invece la stessa cosa, come si può mostrare con l’aiuto, questa volta, di quel Kant a cui anche il Papa (alquanto discutibilmente) si richiama, il Kant la cui morale puramente razionale si iscrive tutta e intera nel solco dell’etsi Deus non daretur che il Papa intende invece rovesciare. Cosa dice infatti Kant? Anzitutto, che a ragionare come se Dio ci fosse si inquinano le sorgenti stesse della morale, poiché fa il proprio dovere chi lo farebbe comunque, che Dio ci sia o meno. In secondo luogo, che se poi Dio ci fosse, se cioè davvero noi dovessimo far nostro il pensiero che Dio c’è e ci guarda, e ci premia e ci punisce, allora la nostra piccola, finita libertà sarebbe schiacciata dalla presenza incombente dell’infinito di Dio: proprio come la puntata della vita al gioco di Pascal. Noi non faremmo mai il male, ma non avremmo più nemmeno la libertà di farlo.
Tra Dio e uomo, invece e per fortuna, c’è distanza, la distanza sufficiente all’esercizio della libertà, e costitutiva dello stesso spazio dell’etica. E’ proprio il contrario di quel che pensa Ratzinger: non senza Dio, nessuna morale; ma: senza morale, nessun Dio. E fare come se Dio ci fosse, usare la tattica nelle cose della morale e della religione, sembra rientrare per intero nella definizione della tirannia che Pascal ci regala in un’altra pensée, meno famosa del pari ma forse anche più attuale: “La tirannia è voler avere per una strada ciò che si può ottenere solo per un’altra”. Ciascuno faccia dunque la sua strada, e nell’uomo che prova a farla etsi Deus non daretur si abbia infine il coraggio di riconoscere il coraggio, e non la superbia di attribuirgli superbia.