Il sequestro di persona è da sempre un’industria. Giulio Cesare fu rapito a ventidue anni mentre stava navigando per Rodi. Una banda di corsari lo tenne in ostaggio due mesi, finché non fu pagato un riscatto. Dopo il rilascio, il giovane Cesare riuscì a procurarsi una flotta. Ricercò i pirati nei loro covi, li catturò e li fece impiccare tutti.
Ma il rapimento è anche uno strumento politico. Le carceri di Saddam Hussein erano piene di persone “rapite” e tenute in ostaggio. Incarcerate senza nessuna accusa. Il Raiss ordinava l’arresto di uno o più membri di una famiglia o di una tribù. Li teneva in ostaggio, dimenticati dal regime nelle prigioni, ma non dai parenti. In cambio, non della liberazione, ma solo del muto impegno a non uccidere, otteneva l’obbedienza di tutti i familiari. Appena il dittatore è caduto, le carceri si sono aperte e tutti i sequestrati politici sono tornati liberi. Ed è immediatamente fiorita l’industria del rapimento economico. Specialmente nel sud del paese, dove esistono tribù che vantano una lunga tradizione nel ramo.
Ero a Bassora nella primavera del 2004. Ospite di un benestante commerciante. Padre di tre figlie femmine e di un più giovane maschio. Al tavolo della cena è uso che siedano solo uomini, non partecipano le donne. Ma il nostro ospite si scusò anche per l’assenza del suo giovane figlio maschio. Ci disse che era molto timido. A causa dell’assenza del padre si era abituato a vivere con sole donne, la madre e le tre sorelle, ed era a disagio con uomini estranei. Il figlio era cresciuto senza il padre, il quale festeggiava un anno di libertà, dopo essere stato nelle carceri di Saddam per dieci anni. Ora era preoccupato proprio per il figlio. Non lo lasciava mai uscire di casa da solo, neanche per andare a scuola. Aveva paura che glielo rapissero. I bambini sono l’oggetto più ambito dai rapitori. Facili da catturare, facili da gestire. I genitori pagano subito, immediatamente, cifre rilevanti ma relativamente modeste se paragonate al valore di una vita: 500, 1.000, 5.000 dollari. Questi rapimenti durano poche ore, nessuno li denuncia. Poche settimane dopo quella cena dovetti abbandonare l’Iraq, come misura di sicurezza, in seguito al rapimento delle quattro bodyguard italiane. Era l’inizio di una nuova serie di rapimenti, dove la ragione economica era innestata e asservita all’obiettivo politico.
Dalla primavera del 2004, in Iraq è iniziata la campagna speciale di rapimenti contro gli stranieri. Ma da subito si sono evidenziate delle differenze. Gli anglossassoni rapiti e uccisi senza pietà, anche crudelmente, davanti alle telecamere. Moniti, esempi per creare il panico, per dissuadere. In queste azioni c’è il duplice obiettivo di mettere in difficoltà i governi di fronte alle loro rispettive opinioni pubbliche e di impaurire il nemico. Il militare conosce la morte per mestiere, perché la dà e la riceve. Il civile è più vulnerabile, è terrorizzabile. Si ottiene così di rendere più difficile il reclutamento del personale civile, più alto il suo costo e meno produttivo il suo lavoro. Il civile invece di essere utile si trasforma in un peso. Assorbe risorse umane e finanziarie per la sua stessa difesa. E’ impedito nei movimenti e nei contatti fino al punto di non riuscire a svolgere il suo lavoro. Cittadini appartenenti ai paesi minori della coalizione dei willing e non solo, dai turchi ai nepalesi, vengono rapiti per costringere i loro governi al ritiro. Uno alla volta questi paesi hanno lasciato l’Iraq, militarmente ed economicamente. I nepalesi, che non appartengono ai popoli del libro, vengono bestialmente trucidati in massa, venti alla volta. I turchi vengono rilasciati se l’azienda per cui lavorano promette di abbandonare l’Iraq.
Gli italiani hanno avuto una sorte particolare. Rapiti non per chiedere il ritiro delle truppe o comunque l’abbandono del paese, ma per essere rilasciati in cambio di un riscatto economico. Rapimenti relativamente brevi, che si concludono con la liberazione di ostaggi provati psicologicamente, ma in buone condizioni di salute fisica. Sempre trattati umanamente e con rispetto. Tre sono i casi di italiani rapiti ed uccisi. Salvatore Santoro probabilmente non è mai stato rapito, ma semplicemente ucciso in circostanze mai chiarite. Anche la sua presenza in Iraq era misteriosa.
Fabrizio Quattrocchi fu giustiziato indipendentemente dalla sua condizione di ostaggio, fu condannato a morte perché reo agli occhi di chi lo teneva prigioniero di qualche colpa imperdonabile, a noi sconosciuta. Forse insultò i rapitori stessi, forse nella sua veste di bodyguard al servizio degli americani si era reso responsabile di azioni “infami”. Enzo Baldoni non è mai stato rapito, ma catturato in un’azione di guerriglia contro un convoglio della Croce Rossa Italiana. Il suo veicolo fu colpito dal fuoco di mitragliatrici o forse di un Rpg. Il mezzo sbandò, si schiantò fuori strada e prese fuoco. L’autista venne ritrovato morto, in parte ustionato, sul ciglio della strada accanto al mezzo. Baldoni scomparso. E’ molto probabile che Baldoni fosse ferito quando fu catturato. Il video diffuso dai carcerieri mostrava un Baldoni che parlava rilassato e sereno, ma senza audio. Lo sfondo era sovrapposto digitalmente. Il giornalista fu catturato con tutti i suoi strumenti di lavoro, macchina fotografica, videocamera. Probabilmente i rapitori hanno usato un fimato prodotto dallo stesso Baldoni e l’hanno rieditato cambiando lo sfondo. Forse Baldoni è morto in seguito alle ferite e i rapitori hanno bluffato, fingendo un’esecuzione da spendere almeno a livello mediatico. Ad alimentare ulteriori dubbi è la foto che lo ritrae morto, non si capisce la logica del corpo ritratto seminterrato. Il corpo stesso non è mai stato restituito. Pochi giorni fa hanno tentato di contrabbandare il corpo di un’altra persona per il suo. Forse dall’analisi dei resti si potrebbe capire troppo sullo strano epilogo del rapimento.
Ma perché hanno rapito dei civili francesi, cittadini di una nazione che si è opposta fermamente alla campagna americana contro l’Iraq? Perché hanno scelto dei giornalisti? Perché dei rapimenti lunghi addirittura dei mesi?
Non ci sono truppe francesi di cui chiedere il ritiro. Neanche di cui fingere di chiederlo, come nel caso italiano, per poi puntare sottobanco a un riscatto economico. Trattative lunghe, difficili ed estenuanti. Momenti in cui la liberazione sembrava prossima e poi sfuggiva. Ma non si è mai temuto veramente che la vita degli ostaggi fosse in pericolo. Addirittura, a un certo punto del loro rapimento, i rapitori dissero che George Malbrunot e Christian Chesnot sarebbero stati trattenuti ancora per qualche tempo affinché svolgessero a favore degli insorgenti la loro attività di giornalisti. Non poteva essere danaro la contropartita della loro liberazione, ma un altro bene che evidentemente richiedeva tempi lunghi per la “consegna”. Promesse di carattere politico, che esigevano tempo per essere implementate e per verificare che fossero mantenute. Forse. Oppure la fornitura di armi che impone una logistica complessa e lunga, che doveva superare indenne il filtro americano. Verosimile. Ma anche nel caso dei giornalisti francesi, non si rapisce senza uno scopo, e non si accetta di liberare i prigionieri senza una contropartita.