Sin City, qualcosa è mancato

Il mondo di Sin City è un mondo semplice. Se siete una donna potete fare la prostituta, la spogliarellista, o al più la cameriera nel locale di spogliarelliste. Se siete un uomo invece potete fare il poliziotto corrotto (più raramente no) o il killer, eventualmente il serial killer. I colori sono il bianco e soprattutto il nero, separati nettamente. I chiaroscuri e le sfumature sono banditi, non solo graficamente. La violenza è parte dell’ambiente. Anche le categorie umane sono due, i sommersi e i corrotti, gli alienati reietti dei bassifondi e i veri perduti, che hanno pagato la promozione sociale o il potere con la totale depravazione. Il segreto del successo del fumetto di Miller è tutto qui. Una storia semplice, narrata in soggettiva dal protagonista, che fila via rapida, con la sospensione di incredulità che non viene mai meno. Alla fine si scopre che l’insieme contiene più della somma delle parti, e si chiudono le pagine con qualche pensiero in omaggio, mentre l’elementare moralità dei reietti di Sin City viene alla luce.
Il film che ne è stato tratto è il più accurato tentativo che si sia mai visto di trasporre fedelmente un fumetto in una pellicola cinematografica. Innumerevoli inquadrature sono sorprendentemente identiche alle tavole cui corrispondono, e gli stessi dialoghi sono riportati pressoché immutati dall’originale cartaceo. L’effetto è notevole, dopo pochi fotogrammi lo spettatore che conosce già i fumetti comincia letteralmente a sfogliare la pellicola, a osservare il bianco e nero delle immagini sullo schermo ascoltando la voce narrante, quasi come se si trattasse di un vecchio cartone in semianimazione.
Anche i personaggi sono assolutamente indovinati. Mickey Rourke semplicemente è Marv, lo è nella vita prima ancora che sullo schermo, e non si può non pensare che sotto il trucco pesante ci sia un volto ancora identico. Anche l’idea di far interpretare ad Elijah Wood il muto serial killer Kevin, facendo perdere la verginità a Frodo, e mostrare il lato oscuro dello sguardo allucinato che ogni spettatore ormai conosce, è geniale. Per tacere della meravigliosa carrellata di ragazze, le cui curve spesso separano le vignette nel fumetto. Eppure c’è qualcosa che sfugge, nello sforzo di catturare la lettera di Sin City si è persa una parte del suo spirito. La tensione va e viene, la sospensione di incredulità va sostenuta di tanto in tanto, in alcune scene si ride di un’ironia dissacrante (cosa che con il fumetto non succede mai), eppure formalmente è tutto a posto. Tutto corrisponde, e invece sembra Pulp Fiction. Ma Sin City non è Pulp Fiction, nessuno si diverte, a Sin City. Chiedetelo a Marv.