Anche quest’anno le tracce (con svolgimento) della prima e seconda prova scritta dell’esame di Stato sono comparse in rete un minuto dopo, o forse un minuto prima che le commissioni le proponessero ai candidati. Anche quest’anno c’è stata una piccola e ovviamente inutile coda di polemiche. Con la consueta solerzia, il Codacons ha chiesto l’annullamento dell’esame (il Codacons non manca mai di chiedere tutto, perché chiedere non costa nulla); un parlamentare dell’Udeur ha presentato interrogazione urgente al Ministro. Ignoro se abbia ricevuto la risposta urgente che attendeva (ignoro anche il nome del parlamentare). Anche quest’anno servizi giornalistici, interviste agli studenti all’uscita della scuola (com’è andata? difficile? facile? te l’aspettavi più difficile? te l’aspettavi più facile?). Come al solito, i giornali si sono divertiti ad affrontare le prove d’esame dei ragazzi, al modo del maestro che mostra condiscendente all’alunno la maniera in cui va svolto l’esercizio. La dimostrazione viene condotta con accortezza calligrafica, cioè con tutta la prudenza del caso, perché il maestro non ha più la baldanza della giovane età, e non vuole rompersi l’osso del collo. Scrive dunque un tema senza sbavature, ma anche privo di ogni guizzo e di ogni estro: il ragazzo imparerà. Resta confermato, comunque, che la pedagogia è la scienza praticata volentieri solo da chi si trovi senza discussione possibile nella condizione del docente, non mai del discente.
Anche quest’anno, infine, si riflette sull’utilità della prova, sulle sue modalità, sul suo senso. Ovviamente, non si trova nessuno che non metta la maiuscola al proprio Esame: perché era molto più serio, perché era molto più impegnativo, perché era molto più istruttivo. E se non era nulla di tutto questo, è perché fu il più rocambolesco, e quel che accade quella volta non è più accaduto né potrà mai più accadere. Cose così, insomma. La morale delle quali è grosso modo la seguente: che se l’esame fosse come una volta, avrebbe ancora un senso, ma così com’è ridotto ora un senso non ce l’ha più.
Ma allora: qual era il senso dell’esame di una volta? Stava davvero in ciò che se ne dice: che era più difficile, oppure più serio? Per nulla. Stava invece in quell’«una volta». Non conta infatti se davvero una volta fosse più serio di ora. Il senso dell’esame di Stato sta proprio nella costituzione dell’esperienza memorabile dell’«una volta». Per sua costituzione, e non per colpa del Ministro Moratti (o ieri di una galleria veramente memorabile di Ministri: da D’Onofrio a Falcucci, da Valitutti a Misasi) l’esame di una volta, in quanto appartiene essenzialmente all’«una volta», non è l’esame di oggi. Non lo è e non lo può essere per definizione: l’esame di Stato (o, ai miei tempi – si dice così –, l’esame di maturità) è semplicemente l’esame di cui ci si ricorda. Che cresce nel ricordo, essendo noi cresciuti anche grazie ad esso.
Ma alla memorabilità dell’esame appartiene anzitutto la quantità di sotterfugi cui gli studenti ricorrono per affrontarlo. L’incidente, l’imprevisto, il piccolo scandalo. (Naturalmente, vi appartengono anche i tentativi dei commissari di impedire tutto ciò). Non importa se ci abbiamo provato in prima persona, o se ci abbiano provato i nostri compagni: insieme alle domande della prova orale, forse alle stesse tracce, insieme alla tensione del giorno prima, a qualche febbrile telefonata della vigilia, noi ricordiamo la cartucciera che conteneva 400 temi svolti dell’amico con la giacca imbottita, i traffici in bagno dove lasciare e dove prendere con la complicità dei bidelli, i banchi sovraimpressionati di formule, i vocabolari infarciti di foglietti. Cosa volete perciò che importi se fosse più difficile o più facile? E cosa cambia, se le tracce compaiono on line? L’esame di Stato ha le sue regole, e i suoi riti. Ma ogni ordine che si rispetti ha, insieme alle regole (scritte e non scritte) su cui formalmente si mantiene, un previsto margine di violazione, di trasgressione, che di quell’ordine non costituisce affatto la sovversione, ma al contrario l’elemento vivo e vitale che ne fa un’autentica esperienza e lo tramanda nel ricordo. Il giorno in cui fosse assolutamente impossibile barare, l’esame di Stato non avrebbe più nulla di veramente memorabile. Sarebbe morto.
Col che non s’intende certo incoraggiare la frode. Si tragga pure la conclusione che qui si tratta del solito gioco delle parti, fra docenti che controllano il regolare svolgimento delle prove con un occhio solo, e studenti che invece di occhi e mani durante le prove ne han quattro, otto, chissà quanti. Il fatto è che noi tutti giochiamo un simile gioco delle parti (s’intende: più o meno rigoroso). Io stesso mentre scrivo gioco il mio. Non saperlo è ingenuo; saperlo e pretendere di mascherarlo è solo un’altra ingenuità. E forse questa è l’unica cosa che lo studente veramente ignora – ma che d’altra parte non si può insegnare, poiché costituisce l’esoterico contenuto di ogni rito d’iniziazione.