Lunedì sera va in onda l’ultima puntata di Friends e noi non faremo di certo finta che sia un evento da poco. Se ne sono resi conto perfino a Raidue, tanto da fare appositi spot per il gran finale. Perché se è vero che Friends dopo dieci anni di onorata carriera aveva perso lo smalto di un tempo, è anche vero che con questo ultimo atto andranno in soffitta alcune delle cose migliori scritte per la televisione. Quando Friends è arrivato sui nostri schermi ha portando una boccata di aria fresca. I sei personaggi erano tutti parimenti protagonisti e avevano una precisa caratterizzazione. Il nucleo familiare classico, a cui eravamo abituati nelle sitcom degli anni ‘80, era stato sostituito con uno nuovo, più moderno ma non meno rassicurante: il gruppo di amici. Questa mossa semplice e apparentemente innocua garantiva il più classico dei meccanismi di identificazione a ogni ventenne o trentenne di allora, che magari viveva o avrebbe tanto voluto vivere da solo, possibilmente lontano da quella famiglia che sentiva decisamente stretta. Non a caso le famiglie dei sei protagonisti sono tutte immancabilmente – senza neppure dover citare quella di Chandler – disfunzionali. Nel contempo di fronte alle tante difficoltà della vita, della carriera e dell’amore (nessuno dei personaggi si può definire veramente sano, tanto meno completamente realizzato) la serie dava un’unica grande ancora di salvezza: l’amicizia. Chi a un certo punto della vita, e prima di essere irrimediabilmente disilluso, non ha creduto che l’amicizia – più dei genitori, del lavoro e, perché no, dei soldi – potesse salvarlo? Friends era una sorta di viaggio in una realtà parallela positiva, divertente e ben congegnata; disegnata cioè attraverso un’attenta cura dei dettagli, spesso facilmente riconoscibili (per esempio la cornice sulla porta viola), mai eccessivamente sofisticati. Insomma, Friends permetteva una immedesimazione molto democratica. A questa logica non sfuggiva nemmeno New York. Molto prima che Sex and The City arrivasse a mostrarci come rendere un’intera città protagonista di un telefilm, Friends aveva fatto a suo modo qualcosa di molto simile. Il caffè Central Perk, per esempio, è uno dei punti fermi intorno a cui ruota tutta la vita dei protagonisti. Lì dove Sex and the City ha dato all’immaginario collettivo un senso di sofisticata high society, Friends ha restituito un senso di familiarità e protezione, ha dato a New York l’aspetto di casa.
E’ alla luce di tutto questo che la conclusione ci lascia un po’ di amaro in bocca (questo è il punto in cui, se non volete rovinarvi il finale, è meglio che smettiate di leggere). Perché nel modo in cui i protagonisti si (e ci) salutano si perde molto di ciò che ha caratterizzato la serie. Tutti tranne Joey (per lui c’era in arrivo lo spin-off) si ritrovano infatti accoppiati, magari sposati o neogenitori, e a quel punto lo scioglimento del gruppo sembra inevitabile. Uno scioglimento che è simbolicamente sancito dall’abbandono dell’altro punto fermo dei ragazzi, la casa di Monica e Rachel (poi di Monica e Chandler). Sappiamo bene che di solito gli universi paralleli non restano in piedi neanche un giorno, figuriamoci dieci anni, e sappiamo ancor di più quanto sia importante regalare un happy ending ai propri telespettatori, ma nel rinunciare al gruppo storico si è tradito chi a quell’universo per dieci anni aveva creduto.