Dr House, medico terminale

Mentre il resto del mondo passava il tempo a occuparsi di risiko bancario, matrimoni vip o tradimenti eccellenti, da queste parti il punto fermo dell’estate è stato Dr House, il telefilm a tema medico di Italia1, che – fate attenzione – da questa settimana viene spostato al mercoledì sera per far posto a CSI: Miami.
Il dottor House è un medico singolare. La sua scontrosa misantropia ci ha conquistate subito. House raramente visita i suoi pazienti (per questo ci sono gli assistenti) e tanto meno si prende il disturbo di scambiarci qualche parola, se non è strettamente necessario. Gira per i corridoi dell’ospedale appoggiandosi al suo bastone con aria corrucciata, mentre continua a imbottirsi di antidolorifici. E nessuno lo sopporta, almeno apparentemente. Per gli affezionati del genere medico questa descrizione potrebbe sembrare familiare: in E.R. la dottoressa Weaver, accompagnata dall’inseparabile stampella, non spicca certo per simpatia, e nel farsi odiare dai colleghi è praticamente imbattibile. Ma in realtà il Dr House ci ricorda di più Missile Romano, le cui caustiche battute raggiungevano spesso vette di pura genialità.
Il nostro eroe è comunque la star indiscussa del reparto malattie infettive del Princeton Hospital, in cui i casi clinici sono affrontati con approccio investigativo: si fanno delle ipotesi, si cercano delle prove, si cambiano le ipotesi e così via. E questo forse è l’unico punto debole della serie ideata da Bryan Singer. Perché se le prime volte il meccanismo piace e appassiona, dopo qualche puntata rischia di diventare scontato. La trama segue sempre lo stesso schema: si scrivono le probabili malattie su una lavagnetta e si valutano le possibili soluzioni. La prima ipotesi – la più logica – è sbagliata pressoché sempre. La seconda diagnosi non dà alcun risultato, anzi di solito la cura peggiora le condizioni del paziente, che a quel punto nel migliore dei casi è in coma, nel peggiore ha poche ore di vita. La terza ipotesi quindi diventa cruciale: potrebbe salvare la vita del paziente come causarne la morte. E’ più o meno in quel momento che House si ferma, guarda in su, aggrotta le sopracciglia e ha l’intuizione. Solitamente predilige la diagnosi più strana, quella che è meno corroborata dalle analisi o dall’anamnesi, e a cui solo più tardi troverà una spiegazione perfettamente plausibile. Non che a noi importino queste inezie, i particolari medici non ci hanno mai veramente appassionato (del resto, a chi hanno mai interessato le competenze pediatriche di Doug Ross, alias George Clooney, in E.R.?). E poi che questo metodo fosse infallibile a noi lo aveva insegnato da tempo un’autorità indiscussa nel campo, di nome Hercule Poirot.