Sabato, all’Eden Park di Auckland, si è concluso il Tri Nations 2005, il principale torneo di rugby degli antipodi. Ad aggiudicarsi il titolo, per la sesta volta in dieci anni, la Nuova Zelanda, che ha concluso con un bilancio di tre vittorie e una sconfitta, al pari dei sudafricani, campioni uscenti e secondi classificati per via delle minori mete segnate. Proprio nel Sud Africa gioca però la rivelazione del torneo. Si chiama Bryan Habana, ha fatto ventidue anni a giugno, ha l’aria da bravo ragazzo e gioca all’ala. Con tre mete è stato, assieme a Joe Rokocoko, la freccia figiana degli All Blacks, il miglior realizzatore del torneo. Dal suo esordio in nazionale, avvenuto lo scorso novembre, ha segnato tredici mete in dodici partite, una media stratosferica, forse l’esordio più impressionante dai tempi di Jonah Lomu.
Habana, un metro e settantanove per novanta chili dichiarati, ha un fisico solido ma non enorme per gli standard del rugby attuale, possiede però una velocità e una rapidità di esecuzione semplicemente devastanti, sfruttate alla perfezione dal gioco sudafricano, che potremmo definire, con analogia calcistica, difesa e contropiede. Emblematica, nell’ultimo Tri Nations, la seconda partita contro l’Australia: fine del primo tempo, i sudafricani recuperano palla a ridosso della propria linea di meta, tre rapidi passaggi per innescare Habana che parte da fermo dieci metri buoni dentro i propri ventidue (come dire dalla propria area di rigore), evita un placcaggio e vola in meta con una corsa di novanta metri, senza che alcun difensore riesca neanche ad avvicinarlo. Replica quasi identica alla fine del secondo tempo, questa volta con “solo” settanta metri di cavalcata.
Oltre alla velocità l’ala degli Springboks ha anche tempismo, fantasia, agilità, propensione all’intercetto, e perfino una solida difesa, tanto che può giocare anche come centro, anzi, è proprio quest’ultimo il suo ruolo preferito. Infine c’è un ultimo dettaglio: Bryan Habana è un coloured, e il rugby in Sud Africa è stato a lungo, e in parte è ancora, lo sport dei bianchi. A quindici anni dalla fine dell’apartheid e tredici dalla riammissione dei sudafricani nel rugby internazionale, benché il tema dell’integrazione e del razzismo sia sempre caldo in Sud Africa, i “non bianchi” cominciano a essere una presenza stabile e di una qualche consistenza in nazionale (nella formazione attuale oltre ad Habana sono titolari l’altra ala, Breyton Paulse, e il mediano di mischia Enrico Januarie). Habana però non è semplicemente uno dei quindici titolari, è un uomo da copertina, un giocatore di impatto, un match winner, il primo match winner nero da dieci anni in qua, con tutte le carte in regola per essere protagonista per i prossimi dieci. In una parola un campione, che poi, sul campo, è la sola razza che conti.