La guerra dei pantaloni e dei reggiseni tra Cina e Europa è finita con un accordo fifty-fifty. Che sarebbe andata a finire così lo si sapeva già. Ma quello che non ci si aspettava era che la bandiera della vittoria sarebbe stata piantata dal premier britannico Tony Blair, che non è proprio un paladino senza macchia dell’idea europea”. Così su Europa del 7 settembre Marco Sotgiu commenta l’accordo fra Ue e Cina sui quasi 90 milioni di capi di vestiario, eccedenti le quote di esportazioni stabilite tre mesi fa, fermi alle frontiere europee. La mediazione che ha permesso di sbloccare la situazione – lo ricordiamo – prevede che il 50 per cento della merce vada liberamente sul mercato e il restante sia inserito nelle quote del prossimo anno. In realtà l’accordo è stato siglato dal commissario europeo al Commercio Peter Mandelson e ha preceduto di poco il viaggio del primo ministro britannico (a cui com’è noto Mandelson è molto legato) che ha ottenuto almeno un altro paio di successi “per l’Europa e per Londra” come giustamente titola il giornale della Margherita: l’accordo tra il consorzio europeo Airbus (nel quale la partecipazione britannica è del 20 per cento) e la China Southern Airlines per l’acquisto di dieci aerei A330 per un valore di circa un miliardo e mezzo di dollari e l’ingresso della banca Standard Chartered con una quota del 19,99 per cento nella cinese Bohai Bank. In realtà l’impegno di Blair per il suo paese e per l’Ue non dovrebbe sorprendere un osservatore attento. Questo tipo di accordi vengono ovviamente al termine di trattative complesse e sono frutto di una seria preparazione politica; Blair sembra aver interpretato fino in fondo il ruolo di presidente di turno dell’Ue, nella cui veste ufficiale era in visita in Cina. Potremmo dire che è stata questa un’occasione per il leader britannico per ridare vigore alla sua visone dinamica del ruolo dell’Europa, visione entrata in crisi con le vicende irachene, e di riportare l’attenzione a un tema come quello dell’impetuoso sviluppo della società cinese per assegnare un nuovo ruolo sulla scena mondiale al vecchio continente. Non a caso gli accordi toccano due settori fondamentali come quello bancario e quello del trasporto aereo, le cui espansioni in Cina sono impressionanti. Fra l’altro su quest’ultimo mercato si è già mossa in modo massiccio la Boeing, principale rivale di Airbus, con un accordo per la vendita di ben 45 aerei. Ma sullo sfondo non può sfuggire come sia in gioco il momento di tensione fra Cina e Usa e il particolare ruolo che la Gran Bretagna può avere, in questo caso a fianco di altri grandi paesi europei (che già hanno portato a termine importanti accordi). E’ una fase questa, infatti, in cui i rapporti Usa-Cina, pure così profondi in tutta la svolta cinese, sono a un punto molto critico e non solo nel settore commerciale. I negoziati fra i due paesi sulle importazioni dei prodotti tessili si sono chiusi a fine agosto con un nulla di fatto. E l’amministrazione Usa ha voluto criticare le aperture che si annunciavano da parte Ue come fattore che si è inserito a complicare una già difficile situazione. La volontà che sembra prevalere negli Stati Uniti è quella di adottare una linea più dura. I dati su cui ragionano indicano che nei soli primi sei mesi del 2005 le importazioni tessili sono aumentate del 97 per cento (7,4 milioni di dollari) incidendo sensibilmente sul disavanzo commerciale degli Usa con la Cina (+32 per cento sull’anno passato).
Gli americani sembrano però in realtà cominciare a temere lo sviluppo cinese in campo militare. E anche su questo l’atteggiamento Ue sull’embargo sulla vendita delle armi (su cui intervenne anche Ciampi) ha fatto accrescere le preoccupazioni. Anche se non sono pochi i commentatori Usa che invitano Bush a trattare la questione con maggiore calma. Ed è eloquente la considerazione di Sergio Romano, Corriere della Sera del 24 agosto, sulle nuove relazioni militari fra Russia e Cina: “Di fronte a un’America che si installa in Afghanistan, conquista l’Iraq e apre basi in Asia centrale, i cinesi hanno scoperto una ragione in più per dimenticare i bisticci del passato”.
Se lo scenario è questo, appare ancora più desolante l’azione del nostro paese, con la lodevole eccezione di qualche iniziativa portata avanti da grandi società ma nella generale afasia dell’esecutivo. E quando Prodi ha affermato che “la notevole crescita dei mercati asiatici e in particolare di quello cinese dovrebbe spingere l’Europa a sfruttare nuove opportunità di sviluppo e invece su questo il governo italiano ha l’encefalogramma piatto” si è sentito rispondere dal ministro degli Esteri Gianfranco Fini in modo piccato che il governo italiano in realtà è molto attivo soprattutto grazie al vice ministro delle Attività produttive Adolfo Urso, suo collega di partito. Bene, se in questa complessa partita che vede protagonisti i principali leader mondiali, l’Italia schiera Urso, siamo tutti più tranquilli. Come se Lippi facesse marcare Adriano ai prossimi mondiali dal valoroso centrale della Palombarese Calcio.