Agnellini

Chiunque non sia un ingenuo sa come vanno le cose nel mondo degli affari. Nessuno si aspetta che l’oste dica la verità sulla bontà del suo vino e a nessuno verrebbe mai in mente di chiedere al proprietario dell’osteria se su quel parere si possa fare affidamento. Le molte perplessità sollevate dal modo in cui l’Ifil, società degli Agnelli che detiene la loro partecipazione in Fiat, si è mossa per evitare di veder diluire il proprio controllo sul Lingotto in seguito alla conversione del prestito sottoscritto dalle banche in azioni – di fatto attraverso una compravendita di titoli attuata tramite un’altra società, la Exor, peraltro con ricche plusvalenze – non merita certo improprie tirate moralistiche. Come hanno detto gli stessi Agnelli, la Fiat non è una società senza fini di lucro. E infatti le critiche sono state assai moderate e rispettose, persino riguardo alcune singolari comunicazioni alla Consob, in cui Ifil smentiva di avere intenzione di fare quello che poi avrebbe fatto. Ma per quanto riguarda la spinosa questione delle informazioni date al mercato, la nozione stessa di “falsa informazione” è talmente vaga che a nostro parere il reato di aggiotaggio andrebbe cancellato dal codice. Figuriamoci dunque se ci scandalizziamo di qualche innocente malinteso nella tempistica e nella comunicazione di simili dettagli. Solo una cosa ci sfugge: per il reato di aggiotaggio e per operazioni di compravendita di titoli eseguite attraverso società controllate sono oggi indagati buona parte di quei famosi “furbetti del quartierino” che tanta indignazione hanno suscitato a Torino e sui giornali più o meno vicini. Indignazione dovuta non tanto agli aspetti legali, anch’essi controversi, quanto alle implicazioni etiche del loro modo di operare. Quello che ci sfugge, dal punto di vista etico, è la differenza.