Che cosa ha in mente Ruini? Quale strategia sta seguendo nell’attraversamento di questa fase frenetica, confusa e preelettorale della politica italiana? E soprattutto, dove vuole arrivare?
In giro se ne sentono dire tante. C’è chi attribuisce a Ruini (che uso come pars pro toto per indicare la linea di intervento politico della Cei) l’intuizione della crisi del bipolarismo approssimativo scaturito senza tradizione dalle brusche vicende politico-giudiziarie di inizio anni ’90, crisi portatrice di trasversali voglie di proporzionale e di centrismo nonché di scelte politiche effettivamente non più contenibili nello schema dei due poli (ad esempio, le posizioni di molti esponenti della Margherita su temi eticamente sensibili quali fecondazione assistita e Pacs). Ciò comporterebbe come conseguenza un gioco a tutto campo da parte della Cei, fatto di grandi richiami etici e di cooptazioni un po’ ricattatorie ai “politici cattolici” di entrambi i poli affinché si schierino a difesa di scelte e valori che vadano a costituire una sorta di “civiltà cattolica”. C’è anche chi, con tutto il consueto e un po’ stanco apparato radical-anticlericale dei decenni scorsi, liquida gli interventi di Ruini con la formula dell’indebita ingerenza nelle vicende dello “stato laico”. Ciò che stupisce è vedere come tale apparato sia stato fatto proprio, la settimana scorsa, anche da un personaggio solitamente sobrio ed equilibrato come il presidente della Repubblica. Che senso può avere commentare la manifestazione dell’opinione di Ruini circa l’introduzione dei Pacs nell’ordinamento italiano citando Porta Pia? C’è infine, negli ambienti ultimamente un po’ isterici di larghe fette del cattolicesimo italiano più militante, una logica da “tutto o niente” che porta a recepire e interpretare le uscite di Ruini come dettature di linea non mediabili, che finiscono per delineare schieramenti non malleabili, indisponibili a ogni ragionevole compromesso, come se Pacs e Incarnazione del Verbo, legge 40 e resurrezione dei copri, Ru486 e divinità dello Spirito Santo fossero tutte questioni di identico momento nelle quali allo stesso modo, senza distinzione né gradazione, fosse in gioco l’identità cattolica. Va detto che linguaggio e tempismo di Ruini, debitori alla psicologia dell’uomo e del sacerdote e a qualche decennio di vaticana weltanschauung, non aiutano a fare chiarezza, anzi.
Il problema di fondo, tuttavia, mi pare un altro. Dato per scontato il diritto di Ruini a pronunciarsi su temi politici ed etici riguardanti la società italiana (certo, con il corollario dell’accettazione della possibilità, altrettanto scontata, di essere interpretati, chiosati, criticati, persino fischiati) e sperando che Ruini si renda ben conto di quale ingombrante macigno sia, in molti sensi, ogni suo intervento in merito, anche e soprattutto in relazione a ciò che al presidente della Cei dovrebbe stare maggiormente a cuore, ovvero la possibilità che la presenza della Chiesa in Italia sia foriera dell’annuncio evangelico agli uomini di questo tempo, viene da chiedersi perché Ruini si occupi con tanta insistenza di questioni sulle quali, forse, un prudente silenzio o quantomeno un basso profilo sarebbero di gran lunga più opportuni, soprattutto se l’alternativa è paragonabile, con ogni evidenza, all’irruzione di un elefante in cristalleria. Che la logica della Cei nella gestione degli affari politici italiani sia il contrario della tolstojana “non resistenza al male” è idea senz’altro legittima e, dal mio punto di vista, persino condivisibile; a lasciarmi perplesso è invece che il “male” contro cui invocare l’elevazione di un cattolico muro di scudi venga perlopiù identificato con qualcosa che ha a che fare con la morale sessuale degli italiani (perché alla fine dei conti, questo mi sembra essere il vero motivo dello scandalo). Può darsi che la rilevanza apparente di tali questioni sia dovuta anche alla sottolineatura un po’ morbosa che di esse danno gli organi di informazione, in contrapposizione al silenzio in cui altre questioni sono tenute, ma a maggior ragione Ruini dovrebbe rendersi conto, come ogni comunicatore politico, di quale sia il trattamento cui vanno incontro le sue parole nel momento in cui vengono gettate nel calderone dell’opinione pubblica e comportarsi di conseguenza.
In sintesi, verrebbe da chiedersi se una società in cui fossero istituiti i Pacs e al contempo fosse possibile – ad esempio – scaricare dalla denuncia dei redditi tutte le spese per l’istruzione dei figli o ottenere condizioni privilegiate di mutuo proporzionali al numero dei componenti del nucleo familiare del contraente sarebbe davvero una società che persegue “un oscuramento della natura e del valore della famiglia e un gravissimo danno al popolo italiano”. Insomma, qui, da cattolici, si avrebbe voglia di qualche battaglia che valesse davvero la pena combattere uniti, fino in fondo.