Il tema del rapporto fra Islam e democrazia, sul quale si è tenuto nei giorni scorsi un importante convegno a Venezia, è destinato a occupare a lungo l’agenda politica mondiale. Per il momento, esso viene istruito nei termini seguenti. I paesi occidentali sono paesi liberal-democratici, i paesi islamici, in maggioranza, non lo sono. Nei paesi islamici, si è diffuso (prima l’integralismo, poi) il fondamentalismo, che alimenta il terrorismo e rappresenta una minaccia per i paesi occidentali. Vi è un nesso fra fondamentalismo e assenza di diritti civili e di democrazia. Bisogna contrastare il fondamentalismo, e bisogna esportare la democrazia. E una cosa aiuta l’altra.
Nel dibattito pubblico, queste proposizioni, rese qui a bella posta in forma sufficientemente anodina, non sono di solito contestate, se non da frange politiche estreme (poco importa se di destra o di sinistra). Trascureremo quindi di considerare posizioni che per esempio comincino col domandarsi se è mai democrazia questa che… eccetera eccetera. La risposta sarà: può darsi di no, ma per il momento è il meglio che c’è sulla piazza. Trascureremo pure di considerare posizioni del genere: il fondamentalismo non è la vera minaccia; la vera minaccia è… eccetera eccetera. Queste posizioni debbono potersi avvalere di comode ipotesi ad hoc, circa la natura e gli scopi del terrorismo islamista, ipotesi tutte riconducibili all’idea che il terrorismo sia usato da… eccetera eccetera. Le ipotesi ad hoc sono per definizione inconfutabili, e dunque potremo lasciarle perdere – insieme con le posizioni che ad esse si appoggiano.
Sgombrato il campo da tesi estremiste o preconcette, sembra che da discutere rimanga solo la questione di come vada condotta l’azione di contrasto del terrorismo islamista, o di quali forme debba assumere l’esportazione della democrazia. Sembra cioè che sia solo una faccenda di metodi e di mezzi: può essere assicurato dai governi occidentali un livello accettabile di sicurezza, nel rispetto dei principi di civiltà giuridica propri dell’Occidente? Oppure: a quali condizioni è lecito, se è lecito, esportare con le armi la democrazia? Quel che hanno di caratteristico domande come queste è però che in linea di principio esse sono già decise. Non può infatti avere alcuna giustificazione una difesa della democrazia (o una strategia offensiva) che ne calpesti i principi. Se dunque esse di fatto si aprono a un ventaglio di possibili risposte, vuol dire che la loro formulazione poggia su ragioni surrettizie: le questioni di fatto si decidono in base ai fatti, e le questione di principio in base ai principi. Mescolare le une e le altre è solo cattiva retorica, o cattiva ideologia.
Una questione veramente pregiudiziale pare invece che sia sollevata quando ci si domanda se l’Islam sia in generale compatibile con la democrazia. Se infatti una tale compatibilità fosse negata, qualcosa nel lotto di proposizioni da cui abbiamo cominciato dovrebbe essere sicuramente riveduto. Che senso avrebbe, infatti, esportare la democrazia in paesi la cui cultura fosse incompatibile con una costituzione politica democratica? Analoga, anzi più grave contraddizione si riscontra quando la tesi dell’incompatibilità fra Islam e democrazia viene affiancata all’affermazione circa il valore universale della democrazia. Chi sostiene che l’Islam non è compatibile con un regime di vita democratico, nega per ciò stesso il valore universale della democrazia. Ne viene anche che non si può senza contraddizione sostenere l’inferiorità culturale dell’Islam, in ragione della sua incompatibilità con la democrazia, e la superiorità dell’Occidente, in ragione del valore universale della democrazia. Eppure una certa idea del confronto dell’Occidente con l’Islam poggia proprio su questa contraddizione.
Tolta la quale, non scompaiono ovviamente i contrasti reali, ma emerge finalmente il vero nodo teorico. L’esercizio dell’universale (della democrazia) è un esercizio particolare (per lo più: dell’Occidente). Finora, è parso che affermare tale nesso equivalga senz’altro a negare il valore universale, e che per affermare senz’altro il valore universale bisogna negare che vi sia un nesso essenziale con il particolare. L’una e l’altra cosa non richiedono un particolare sforzo di pensiero: si guarda alla sua origine, e si nega che la democrazia abbia portata universale; si guarda alla sua forma, al suo telos, e si nega che la democrazia significhi occidentalizzazione. Difficile è tenere insieme le due cose: per non compromettere la democrazia, e non negare l’evidenza. Difficile, e tuttavia indispensabile: senza un pensiero che si provi a farlo, lo scontro difficilmente può essere evitato. Ma non sarebbe uno scontro di civiltà, casomai di opposte e diverse (e diversamente responsabili) inciviltà. (Postilla: è vero che i problemi del mondo non si risolvono pensando. Ma nella vostra vita vi affidereste a soluzioni che non siano meditate? Eppure, a volte si ha l’impressione che questo stia accadendo).