Siccome questo paese si entusiasma facilmente per le novità, ma resta pur sempre affezionato alle antiche tradizioni, abbiamo trascorso la settimana in compagnia del fenomeno Celentano.
Celentano, come quasi tutti i personaggi diventati famosi per essere – per l’appunto – dei personaggi, prima di tutto è un metodo. Il suo è un procedimento preciso e costantemente reiterato a intervalli regolari. Quel che fa, quando parla e quando prepara un programma, è sostanzialmente creare una crescente suspense. Un’attesa non sempre soddisfatta, e che non a caso termina spesso con una lunga pausa. Sorprende che dopo quarant’anni di molleggiata carriera si stia ancora qui a discutere dell’effetto dirompente che ha sull’opinione pubblica. Benché quell’effetto – come ben dimostrato anche stavolta – esista realmente. Quel che Celentano come pochi è in grado di fare con la sua presenza scenica, ma anche con la reputazione guadagnata grazie ad anni di applicazione del metodo, è una reazione a catena che genera aspettativa prima, polemiche dopo, e che complessivamente compone “l’evento Celentano”, di cui però la trasmissione vera e propria è solo una piccolissima parte. I suoi programmi sono una bolla sospesa tra ciò che è accaduto prima e ciò che immaginiamo accadrà dopo. E proprio come in una bolla sospesa nel tempo tutto ciò che avviene all’interno (ospiti, canzoni, monologhi) viene somministrato al rallentatore. Ma non è solo curiosità e voglia di esserci, quella degli spettatori, è convinzione sincera di assistere a qualcosa di rilevante. Si rimane incollati al teleschermo fino all’ultimo, con la certezza (fondata o meno) che possa accadere da un momento all’altro qualcosa che non si deve assolutamente perdere. La capacità di creare una simile aspettativa è chiaramente un’abilità notevole. Potremmo dire, usando il gioco che ha lanciato giovedì sera, che il Molleggiato sarà pure parecchio rock, ma tutti gli altri (gli spettatori e quelli che polemizzano pro e contro) sono assai lenti. Ma a noi che siamo lenti non è sembrato di scorgere, attraverso l’aria rarefatta della bolla, nemmeno l’ombra di qualcosa che fosse da non perdere veramente: uno studio imponente, le immancabili luci basse, gli imbarazzanti dialoghi con gli ospiti, i soliti lunghissimi monologhi sul senso della vita, tante parole e neanche uno slogan da ricordare (tanto che ci sono sembrati lontani perfino i tempi di “sono il figlio della foca”). L’unica cosa che ci è rimasta davvero in mente è la canzone gitana di Crozza, ma che lui sia bravo non lo scopriamo certo grazie a Celentano. E non ci hanno stupito nemmeno le reazioni polemiche del dopo puntata. Peccato, perché se non avessero avuto gli uni e gli altri le dichiarazioni già pronte nel cassetto, forse si sarebbero accorti che non è proprio successo nulla.