Ci sono incubi che sembrano non avere mai fine. Suggestive superstizioni, confortevolmente irrazionali e dunque ardue da sconfiggere. A volte, tutto questo può concentrarsi in un’unica persona, in un’unica mente. A volte, può assumere la forma di una voluta discesa agli inferi, un’accurata ed entusiastica ricerca di oscurità etica e morale. Un viaggio dal quale non si ritorna, se non con l’ossessione sanguinosa di voler estendere quell’oscurità come una piaga “purificante”.
Rinchiuso in una cella della prigione di Trondheim, Norvegia, il peggior incubo musicale e ideologico della vecchia Europa, ristretto ma non domo, prosegue la sua guerra: nato a Bergen, l’11 Febbraio del 1973, Varg Vikernes, creatore del progetto Burzum e noto nella scena black-metal come Count Grishnackh (da un personaggio di Tolkien), assurge a imperitura e sinistra fama nel 1993 per avere assassinato il chitarrista dei Mahyem, Oystien “Euronimous” Aarseth. E per questo omicidio sconta una condanna a ventuno anni.
Può apparire paradossale, ma l’omicidio è solo la punta dell’iceberg; il sentiero che conduce all’inizio dell’intricata, selvaggia e inospitale foresta che può ben raffigurare Vikernes. Prima ancora di dedicarsi alla carriera musicale, quello che in apparenza sembra solo un ragazzo della sua età, magari più ossessionato del dovuto dall’amore per la natura incontaminata, si rivela invece un convinto attivista del nascente movimento di opposizione al cosiddetto dominio giudaico-cristiano, reo d’avere, più di mille anni fa, sottratto ai norvegesi i veri dei e la vera Natura. Avvolto in un’ideologia nazionalistica che trasforma la continuità delle tradizioni in razzismo, Varg rimane coinvolto – anche se non verrà del tutto chiarito il suo ruolo – in una serie di attentati incendiari contro chiese cattoliche; nella simbologia del movimento, una dichiarazione di guerra.
Con queste premesse, quando nel ‘92 fa il suo one-man-band esordio con l’album “Burzum” (preceduto da alcuni demo), non è una sorpresa la qualità angosciante, tetra, lacerata del suo black-metal: polistrumentista, è tra i primi a miscelare il rituale muro di chitarre all’uso dei sintetizzatori, spezzando la trama musicale con le urla agghiaccianti che gli sono caratteristiche. L’effetto è affascinante e apre la strada ai successivi “Aske” (Ep, ’93), “Det Som En Gang Var” (’93), “Hvis lyset Tar Oss” (’94, il primo pubblicato dopo la condanna), “Filosofem” (’96, registrato prima del carcere, considerato il suo miglior lavoro), “Daudi Baldrs” (’97, interamente strumentale, dedicato al mito della morte di Balder, il dio nordico dell’innocenza e della luce. Registrato in carcere, a proposito di innocenza e luce), “Hlidskjalf” (’99) e “Grand Declaration Of War” (’00, ultimo di una trilogia iniziata con “Daudri Baldrs”). La ristampa recente, sotto il titolo “Draugen” del primo ep “Aske”, accompagnata da inediti del periodo 1991-93 e tre versioni di altrettanti brani da “Burzum”, “Det Som…” e “Filosofem” appare come un modesto tentativo (data la scadente qualità di parte delle registrazioni, anche se ben sette brani su tredici sono inediti) di mantenere presente il nome sul mercato, in attesa di un nuovo lavoro.
Rinchiuso in cella, Vikernes scrive e compone. Le sue parole sono violenza; la sua musica, il canto di una mente che benedice l’oscurità: partito alla ricerca di Thor (il dio del tuono) ha finito per abbracciare Loki (il dio del Male). E non è un fumetto, ma una vecchia musica che si fa ancora sentire nel vecchio Continente.