La sposa cadavere

La sposa cadavere: istruzioni per l’uso. Apprestarsi alla visione sorridenti, se possibile innamorati, senz’altro a lume di candela e con i sensi ammorbiditi da una cena di zucche e vino rosso. Ripetere ogni anno, di preferenza la notte di Ognissanti. Come il fratello maggiore “Nightmare Before Christmas”, il nuovo film in (mirabolante) stop-motion di Tim Burton pretende un posto tra le tradizioni familiari in caso di feste comandate. L’assenza di qualsivoglia snodo di trama meno che lineare permette una fruizione sistematica e ripetuta; una colonna sonora più coinvolgente ne avrebbe forse consentito una visione corale, invece è spettacolo che merita un angolo intimo, un abbraccio a fine serata. È un film buio di scheletri e altri mostriciattoli, ma non inquieta neanche per un istante: la danza macabra serve soltanto a dissimulare una storia d’amore, una ghirlanda struggente di sentimenti purissimi. La sposa cadavere è quasi un Canto di Natale.
Burton illustra un’antica fiaba russa riscrivendola sui volti sottili delle sue icone. Victor – gli zigomi triangolari di Johnny Depp – è il Principe Timido, in realtà buon borghese ma senza pedigree, promesso in sposo all’aristocratica decaduta Victoria dagli occhi smisurati. Siccome è una favola, e nonostante i mostruosi genitori, quando i due si incontrano immediatamentre si riconoscono anime gemelle. Il che esaspera – se possibile – il di lui tenero impaccio, rendendolo incapace di pronunciare i voti nuziali durante la prova generale della cerimonia. Goffo, ma tanto giudizioso, Victor esce a ripassare le formule tra la vegetazione brulla e, sull’onda dell’entusiasmo, infila la fede a un arbusto stortignaccolo. Con squasso, la terra si apre e il rametto si rivela un aggraziato anulare che prosegue nelle forme scheletriche di Emily, sposa cadavere squisita. E dimostrazione ulteriore del fatto che, per essere seducenti, avere la pelle attaccata alle ossa è caratteristica secondaria; è sufficiente un po’ di polpa a riempire le labbra e il seno. E il viso di Helena Bonham Carter, la musa. Provvista di regolamentare velo – oltre che di paggetto a forma di verme nella scatola cranica, per controllare che non si perda il senno – la fanciulla si proclama moglie legittima dell’impressionabile Victor. Lui subito si sente venir meno, lasciando altri a dirimere la complicata questione di diritto di famiglia; lei ne approfitta e lo trascina nell’Aldisotto, colorato come una festa mobile e rutilante di gradite sorprese. I morti sono le vere anime belle, insomma, e il villain si presenta piuttosto esplicitamente con le sembianze di un cacciatore di dote. Vivissimo.
Nei sogni di Tim Burton i “mostri” non fanno mai paura. Ballano e cantano per prendere le distanze dalla normalità tetra dei vivi, o sedicenti. Forse un po’ smilzi, ma così carini, possono permettersi di parlar d’amore senza ridursi a stereotipi di cattiva poesia. E ci riescono, di solito. Ma non è solo per romanticismo che torneremo a trovare tutti gli anni questa Sposa degli Halloween Passati. E’ perché ogni volta che ci perderemo tra dettagli nuovi e ricordi perfetti, finiremo poi per ritrovarci con programmatica lucidità tra le pieghe di quel sontuoso abito bianco che si muove come solo nelle favole. E che qualcuno dovrà pur essere in grado di replicare, prima o poi, nel mondo dei vivi.