Secondo un’opinione diffusa, il calcio italiano è il punto di accumulazione di tutte le storture del mondo (sportivo e non), mentre qualsiasi altro sport appare come un’oasi incontaminata dei valori decoubertiniani. La recente frattura fra Lega di serie A di basket e Federazione italiana pallacanestro confuta con decisione questa teoria.
A metà degli anni ’90, la sentenza-Bosman creò scompiglio anche nel mondo cestistico, liberalizzando l’afflusso di giocatori dell’Ue nell’allora serie A1. Le successive normative fissarono l’unico limite di un massimo di due extracomunitari per squadra. A complicare ulteriormente la situazione arrivò nel 2000 il cosiddetto caso-Sheppard – l’americano ingaggiato da Roseto degli Abruzzi nonostante fosse già stato raggiunto il tetto degli atleti extra-Ue tesserabili e integrato in squadra solo dopo mesi di ricorsi alla magistratura ordinaria. La sentenza sancì la liberalizzazione totale del mercato, e assieme al famigerato “premio di addestramento” – vera e propria soprattassa che le squadre di serie A dovevano pagare per ingaggiare cestisti italiani provenienti dalle serie inferiori – rese di fatto più conveniente l’acquisto di atleti provenienti dall’estero.
Il risultato fu una concentrazione sempre maggiore di giocatori stranieri nelle squadre italiane, sia di vertice che di secondo piano, mentre i talenti del nostro paese venivano utilizzati con minutaggi sempre più ridicoli. L’anno scorso, all’indomani dell’argento di Atene, la situazione venne duramente denunciata dai giocatori della Nazionale, che minacciarono di disertare l’All Star Game, tradizionale incontro dicembrino contro una selezione dei migliori giocatori del campionato, per protestare contro l’eccessiva “esterofilia” della serie A. L’intesa raggiunta col Coni e la Lega poco tempo dopo prevedeva l’applicazione, a partire da questa stagione, di una norma che imponeva l’utilizzo di almeno il 50 per cento di giocatori del nostro paese. Peccato che la maggior parte degli “italiani” a referto, in queste prime giornate di campionato, fossero o naturalizzati (spesso con cittadinanza acquisita grazie a un remoto ascendente, secondo prassi invalsa anche nel calcio) o riserve delle riserve. Il Consiglio federale ha pertanto rafforzato le decisioni già prese, sostenendo che la quota-azzurra debba essere di giocatori “nati e formati in Italia”: la Lega A ha però rigettato in toto questa proposta, sancendo quasi all’unanimità la rottura con Federazione e Coni, non invitando la Nazionale al prossimo All Star Game e gettando le basi per la creazione di un campionato autonomo. Il rischio di questa scissione è di avere, dalla prossima stagione, da un lato una Superlega gestita in proprio dai club maggiori, dall’altra un campionato “ufficiale” ma di seconda fascia, con conseguenze nefaste sull’intero movimento e sulla sua immagine in campo internazionale. L’asino calcistico avrà pure il suo bel paio di corna, ma anche il bue del basket non scherza affatto.