L’ ultimo libro, appena apparso in italiano, di Martha Nussbaum una delle più apprezzate studiose liberal di filosofia, diritto ed etica (Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge), comincia così: “Un giudice della California ordina che un imputato condannato per ladrocinio indossi una camicia recante la scritta: «Mi trovo in libertà vigilata». In Florida, gli automobilisti condannati per guida in stato di ubriachezza sono tenuti a esporre sul paraurti della loro auto cartelli adesivi che recitano. «Conducente condannato per guida in stato di ebbrezza»”. Seguono altri esempi, e quindi la posizione della questione: in che modo il diritto, la legge, la giurisprudenza, l’amministrazione della giustizia possono far leva su emozioni come il disgusto e la vergogna? È una buona sentenza quella che espone il reo al pubblico ludibrio? E’ una buona legge quella che espone alla vergogna una categoria di persone?
In Italia, il dibattito teorico su sanzioni e leggi basate sulla vergogna non è sviluppato quanto in America, dove invece accende il confronto fra liberal e comunitaristi. Sono infatti questi ultimi a ritenere che una buona società abbia bisogno di nutrire un senso condiviso di repulsione nei confronti di comportamenti che giudica negativamente, e che questo senso condiviso si manifesti genuinamente sul piano emotivo prima ancora che sul piano razionale, attraverso, per esempio, il sentimento della vergogna. La stigmatizzazione pubblica di pratiche che offendono la comunità traduce infine in termini di sanzione (ma, anche, di discriminazione) l’idem sentire intorno a cui si raccolgono valori riti usanze e tradizioni di quella comunità.
In maniera del tutto ragionevole, la Nussbaum osserva che è impossibile escludere del tutto le emozioni dalla vita del diritto, e della società. Se non provassimo un sentimento di rabbia e di indignazione dinanzi a uno stupro, ben difficilmente commineremmo pene severe a uno stupratore. Questa è la principale freccia all’arco dei comunitaristi: per essi, la ragione – e per ragione essi intendono il tipo di razionalità puramente formale definito da Max Weber – è sempre troppo astratta, per non dire artificiosa, per costituire il fondamento valido di una politica pubblica e di una comunità in genere. La quale ha bisogno non solo di calcoli e procedure, metodi e tecniche, ma anche di prospettive valoriali comuni e di legami affettivi, di solide tradizioni culturali e di partecipate cerimonie collettive.
Ma in maniera altrettanto ragionevole, la Nussbaum osserva pure che “una società liberale ha particolari ragioni di inibire la vergogna e proteggere i propri cittadini dall’essere costretti a vergognarsi”. E non perché una società democratica, liberale e progressista non abbia bisogno di essere sostenuta da cittadini che abbiano vivo il senso del bene e del male, e possa affidarsi interamente a prassi eticamente neutrali e normative generali e impersonali, ma perché delle due opinioni in contrasto – quella secondo cui coloro che infrangono leggi e costumi condivisi dovrebbero essere esposti alla vergogna, e quella secondo cui i cittadini dovrebbero essere sempre difesi dalle offese alla propria dignità – delle due opinioni a essere di gran lunga più preziosa per una società liberale è la seconda. Una società liberale non umilia nessuno.
Poi accendiamo la tv. E anche se non l’accendiamo, finiamo col parlarne. Non ci si vergogna più di nulla, pensiamo. E questo, che pensiamo, non è vero, poiché sono ancora molte le categorie di persone costrette a portare lo stigma della discriminazione, e perché l’esposizione pubblica alla vergogna di singoli o gruppi da parte di maggioranze che definiscono per sé e per gli altri il modo giusto e normale di fare le cose, e sinanche il modo giusto e normale di essere, è ancora molto forte.
Nel secondo anniversario della strage di Nassiriya, avvenuta il 12 novembre 2003, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato la Croce d’onore ai familiari dei caduti, e ai tre feriti gravi scampati all’attentato terroristico. Cerimonie come queste, rese solenni dal rituale militare, rinsaldano il sentimento della patria, il senso della comune appartenenza alla nazione e la solidarietà civile.
Alla cerimonia, svoltasi all’Altare della Patria, non ha potuto prendere parte la compagna del regista Stefano Rolla, uno dei due civili periti nella strage: le è stato impedito di entrare nella Sala delle Bandiere, perché la donna non era legittimamente sposata con il regista, ma era soltanto convivente. Ciampi ha appuntato la medaglia al petto della figlia della prima moglie. Io ho visto in tv la donna cercare, senza riuscirvi, di farsi largo tra le forze dell’ordine. E un po’ mi sono vergognato.