Alessandro Baricco è uno scrittore un po’ così: volendo dire una banalità, o lo si odia o lo si ama. Volendone dire un’altra: è un dannato piacione, per come è e per come scrive. E come sempre le banalità sono banalità, ma perlopiù sono anche vere. Questa storia è il titolo del suo ultimo romanzo uscito venerdì scorso in libreria, il primo pubblicato per Fandango. Com’è? È di Baricco, e si potrebbe chiuderla qui.
Cominciamo col dire ciò che non è: non è una truffa perpetrata nei confronti dei lettori come a suo tempo furono Senza sangue e, in misura solo di poco minore, Seta. Diciamo poi anche che c’è una storia, una storia che è un po’ più storia di quella raccontata in City e in Castelli di rabbia, un tantinello più coerente e lineare, con un capo e una coda, e non solo un rap di brandelli di racconti tenuti insieme da improbabili fili di sutura (che poi, tra parentesi, il rap possa piacere moltissimo, e che Baricco sia un po’ l’Eminem del genere ci sta, cioè a me sia City che Castelli di rabbia erano piaciuti, per dire). Intendiamoci: il rap c’è anche qui, solo che è un po’ meno nitidamente rap. È un rap, ma c’è anche una melodia. È Eminem che canta O Surdato ‘nnammurato (cioè: una specie, per rendere l’idea, insomma s’è capito, no?).
Ancora: nel libro ci sono dodici pagine che valgono il prezzo, da sole, abbondantemente. Le prime dodici. Il prologo, piacionamente (e ti pareva) definito “Ouverture”. Lì il Piacione fa quella cosa per la quale chi lo ama lo ama: usa le parole e sembra musica. Punto. C’è nient’altro da dire. Lui sarà pure insopportabilmente piacione, ma quella che mette giù sulla pagina è musica. Musica pura. E parla di automobili, benzina, fumo, polvere, camerieri, velocità, Re, Presidenti, sangue e morte. Bellissima.
Poi però in quelle stesse pagine c’è una cosa di quelle per le quali chi lo odia lo odia. C’è, al termine di ogni frase, una tabulazione. Proprio così. Tabulazioni. Non a capo. Non spazi bianchi. Non righe saltate. Cioè ci sono anche queste cose, ma tra una frase e l’altra, così senza preavviso né logica apparente, tabulazioni. E io m’immagino il Baricco seduto lì davanti al suo pc mentre sta buttando giù la sua storia che pensa e si chiede che cosa potrà mai inventarsi stavolta di totalmente inutile e tuttavia bizzarro e originale, qualcosa da far andare in deliquio i suoi fan e in sbattimento tutti quelli che non lo reggono, e pensa che ti ripensa alla fine gli viene in mente, come un lampo: tabulazioni. Ma mi faccia il piacere.
Il resto, naturalmente, è tutto così: escludendo le estremità di chi, da una parte, ha appeso il poster del bell’Alessandro in cameretta e di chi, dall’altra, un libro di Baricco non lo toccherebbe nemmeno con un palo eccetera eccetera, tutti gli altri lettori vi troveranno una successione di trovate magnifiche e di insopportabili bariccate. La storia è una specie di Novecento mixato con Novecento (quelli di Bertolucci e dello stesso Baricco, intendo): il secolo passato in rassegna, la Storia e le storie di chi vorrebbe star fuori dalla Storia e ne viene in ogni caso travolto. C’è il solito tratto, ormai manierista per il Nostro, della monomania ossessiva che oscilla tra l’essere condanna e l’essere salvezza, l’unica possibile. C’è la solita malinconia fatta di luce bianca à la Piero della Francesca e dell’immancabile nebbia. C’è quello sguardo molto (troppo, diranno alcuni) cinematografico. C’è la solita storia della ricerca del “gesto perfetto” (eccheppalle) e c’è una spiegazione lirica, ma efficacissima, di che cosa fu e come poté accadere Caporetto (bella e a suo modo rigorosa, da far leggere nelle scuole). C’è, insomma, un po’ tutto l’armamentario baricchiano (il migliore e il peggiore): padri e figli, terre e oceani, distanze e storie che le raccontano, sesso orale e donne con le gonne, battute folgoranti e crudeltà orribili, pallottole e dialoghi surreali fatti, perlopiù, di silenzio, rampolle dell’aristocrazia russa e famiglie della provincia americana, pianoforti e aeroplani. Ci sono persino quattro copertine diverse, sottoposte alla scelta dell’acquirente, tutte molto belle, opera di Gianluigi Toccafondo (disegni) e di Damir Jellici (grafica). Io, così a occhio in due secondi, ho scelto quella con lampioni e passanti intabarrati e un furgone rosso sulla quarta.
Vi piace Baricco? Precipitatevi in libreria. Detestate Baricco? Statene lontani.
Un’ultima cosa: era un po’ di tempo che leggevo libri che mi annoiavano. Ho provato a mischiare i generi, passando dalla fantascienza alla saggistica filosofica. Niente. Dai tomi ponderosi alle raccolte di racconti brevi. Noia. Un periodo un po’ spiacevole come talvolta ne capitano. Poi ho cominciato a leggere Baricco.
Mi sono divertito moltissimo.