A quarantasei anni, John McEnroe potrebbe tornare a giocare nel circuito professionistico, in doppio con Jonas Bjorkman. L’esordio della coppia è fissato per il prossimo 15 febbraio, al torneo di San José, in California.
Di solito, per un vecchio campione, ritirarsi dal ritiro non è una buona idea. Se vi ricordate il ritorno di Borg nei primi anni novanta sapete di cosa parliamo, se non ve lo ricordate vi consigliamo vivamente di restare nell’ignoranza, conserverete un miglior ricordo del campione svedese.
Certo il doppio è un’altra cosa, McEnroe è stato l’ultimo giocatore di primo piano ad avere successo sia in singolo che in doppio, e proprio in coppia con Michael Stich ha avuto il suo ultimo trionfo a Wimbledon. Ma era nel 1992, tredici anni fa. Insomma non c’è una sola ragione valida perché McEnroe debba tornare in campo contro ragazzi di cui potrebbe essere il padre, eppure.
Eppure John McEnroe non è solo un grandissimo ex campione, John McEnroe è stato il genio, lo spirito del gioco, l’eleganza, l’agonismo, ogni cosa. In una parola è stato, anzi è, semplicemente, il tennis. Il suo servizio spalle alla rete, le sue volée, la racchetta di legno, magari con le corde in budello. C’erano tutti gli altri e c’era McEnroe, che giocava a un altro sport; lo si guardava per ore, incantati. A meno che non fosse lui a svegliarci dall’incantesimo con le sue sfuriate. Con giudici di linea, arbitri – You cannot be serious! – perfino col ciclope, la macchina che controllava il servizio.
Insomma, qualsiasi cosa possa succedere John McEnroe ha già vinto. John McEnroe non lo puoi battere. Al massimo, puoi fare più punti di lui.