L’ inverno è la stagione nella quale i ciclisti non corrono. L’inverno è la stagione decisiva per i ciclisti. L’inverno di Ivan Basso ruota attorno a un dilemma: fare o non fare il Giro? L’opinione comune degli addetti ai lavori è che il campione di Cassano Magnago, giunto all’età della piena maturità fisica e agonistica, possa diventare il faro del movimento per quanto riguarda la grandi corse a tappe dopo il ritiro di Lance Armstrong. Per il 2006 l’obiettivo primario suo, della squadra e degli sponsor sarà il Tour de France. Però Ivan Basso è italiano, e come ogni ciclista italiano ha per il Giro un’attrazione che potrebbe essergli fatale. Nel ciclismo contemporaneo è sempre più raro, infatti, che un corridore riesca a preparare e correre per fare classifica più di una grande corsa a tappe: l’ultimo a riuscirci fu Pantani nel 1998. Quest’anno Basso avrebbe potuto vincere il Giro. Venne fermato da un malanno che non gli impedì, una volta ripresosi, di fare il bello e il cattivo tempo in salita e a cronometro, per poi presentarsi in Francia a ottimi livelli che gli sono valsi il secondo gradino del podio. In teoria, Basso ha dimostrato di avere gambe, polmoni, squadra e testa per poter tentare l’accoppiata. Gli sponsor, tuttavia, premono perché si concentri sul Tour (molto più importante per quanto concerne il ritorno d’immagine a livello mondiale) e rimandi a un indefinito futuro un ulteriore assalto alla corsa rosa. La forza di Basso è stata, finora, la capacità di dosare perfettamente prudenza e temerarietà. La sua decisione se schierarsi o meno al via del Giro rischia di essere l’evento cardine dell’intera stagione ciclistica 2006.
L’inverno di Jan Ullrich ruota attorno a una decisione già presa e a un’altra da prendere: il campione tedesco ha già annunciato che correrà il Giro, ma resta da vedere se Ullrich scenderà in Italia dopo un inverno di duri allenamenti per tentare di vincere la corsa rosa (qualora ci riuscisse entrerebbe nel gotha di coloro che si sono imposti almeno una volta in carriera in tutte e tre le grandi corse a tappe: Merckx, Hinault, Anquetil e Gimondi), oppure se, come già in passato, verrà in Italia in ritardo di condizione e con il consueto problema di sovrappeso per preparare la gamba in vista della corsa francese. Quando fece così, nel 2003, al Tour mise poi in estrema difficoltà Armstrong, tenendo il passo dell’americano sulle salite e arrendendosi solo alla sfortuna, presentatasi nelle sembianze di una pioggia torrenziale che gli impedì di correre l’ultima cronometro all’attacco per recuperare il contenuto distacco in classifica generale. A Parigi arrivò secondo alle spalle del texano e quest’anno – occorre ricordarlo? – il texano non sarà al via. Ullrich, qualora riuscisse a vincere il suo secondo Tour a nove anni di distanza dal suo primo trionfo in giallo, riscatterebbe le ultime stagioni da eterno piazzato e realizzerebbe un’impresa paragonabile solo a quella di Bartali, capace di aggiudicarsi la Grande Boucle due volte a dieci anni di distanza, nel 1938 e nel 1948.
L’inverno di Damiano Cunego ruota attorno a un incubo: la passata stagione gettata al vento, dopo il folgorante anno della consacrazione con le vittorie a ripetizione tra le quali spiccano il Giro e il Lombardia. Che cosa ha sbagliato nel 2005 il giovane fenomeno di Verona? Se parte del rammarico può essere attenuata dalla considerazione che le figuracce primaverili ed estive sono state causate da una mononucleosi diagnosticata in ritardo, la sensazione complessiva di una gestione poco oculata del talento a disposizione di Cunego resta forte. Insomma: a soli ventiquattro anni e alla sua quarta stagione da professionista, la carriera del giovin signore del ciclismo italiano è già a uno snodo che appare decisivo: o un ritorno in grande stile fatto di vittorie (più prevedibili nelle corse di un giorno che in una grande corsa a tappe), oppure una crisi involutiva dalla quale potrebbe essere difficile uscire.
L’inverno di Danilo Di Luca ruota attorno a una considerazione: a trent’anni, il Killer di Spoltore ancora non sa chi è. La stagione appena trascorsa l’ha consacrato vincitore della prima edizione del Pro Tour e grande protagonista sulle strade del Giro, fermato solo dai crampi nel tappone decisivo del Sestriere. La corsa rosa lo solletica, ma prepararla per vincerla, come il corridore abruzzese ha dichiarato di voler fare, potrebbe togliergli la brillantezza necessaria per le classiche di primavera, terreno di caccia a lui più confacente e fonte primaria della sua consacrazione nel 2005. Se poi al Giro trovasse come avversari gente del calibro di Ullrich e Basso, francamente potrebbe combinare poco. Insomma, che fare? Mirare a Sanremo, Fiandre, Freccia Vallona, Liegi e Amstel (sulla carta, vi si presentasse in forma, sarebbe uno dei favoriti) o tentare di arrivare al Giro al 110 per cento, col rischio di buttare via una stagione?
L’inverno di Lance Armstrong ruota attorno a un pensiero nostalgico (per lui) e consolante (per tutti gli altri): il suo ritiro è definitivo. Glielo hanno fatto capire i dirigenti del Tour, la corsa cui ha dedicato la carriera e quella che gli ha dato fama, ricchezza e gloria. Come? Pubblicando, pochi giorni dopo la fine della corsa francese vinta per la settima volta consecutiva dal corridore texano, le indiscrezioni sulla sua positività a un controllo antidoping nel lontano 1999, anno della sua prima vittoria in terra francese, commentando poi la cosa con parole amare e infuocate. Si è trattato del delitto perfetto: nessuna conseguenza pratica per l’americano, nessuna possibilità di controanalisi e di smentite, porta sbattuta in faccia a un eventuale (e a un certo punto ventilato) rientro. Hai stufato, gli hanno fatto capire. Sette anni di imbarazzante superiorità sono troppi. La gente si disinteressa. Soprattutto i tifosi dei campioni battuti con regolarità e disarmante superiorità. E il Tour non può permettersi un calo di interesse. È il business, bellezza. E Armstrong, da grande businessman qual è, ha capito: d’ora in avanti, gli unici tour che potrà percorrere saranno quelli dei concerti della compagna Sheryl Crow.