Sarà colpa dei cronisti che stanno sempre lì a registrare pure i sospiri, ma la dichiarazione di Prodi che no, manco morto ci abiterebbe a Roma, è suonata un po’ ingenua. Naturale che la Cdl l’abbia crocifisso come un albertofortis qualunque, sebbene – al secondo giro – quell’avventatezza verbale sia stata articolata meglio: i romani non li odia tutti quanti, ma gli gne-gne salottieri che, trangugiando tartine, parlano del più e del meno e soprattutto si fanno vedere, diciamo che non gli stanno simpatici. Stili di vita diversi. Il Prodi che ne viene fuori è un premier in pectore che studia da calvinista, antipiacione radicale e sgobbone al servizio (soltanto) dei cittadini. E forse, vista così, non è stata proprio un’uscita ingenua la sua. Anzi, l’immagine di uno che a Roma ci sta soltanto per lavorare è un vecchio cavallo di battaglia. Prova ne sono le interviste rilasciate direttamente dal sedile dell’eurostar mentre riguadagna la Bologna che ritempra lo spirito.
A noi sta bene tutto, ma abbiamo paura di un equivoco. E cioè che la bella finanza e la bella imprenditoria dei salotti buoni di tutta Italia scambino l’approccio finalmente weberiano per propensione all’epicureo “vivi nascosto”. E possano pensare così di mantenere intatta una “tranquillità d’animo” che non ha nulla a che vedere – questa sì – con il proprio Beruf. Nel senso luterano di Professione.