Non occorrono particolari doti di chiaroveggenza per capire che alla sinistra italiana si sta preparando un regalo di Natale coi fiocchi. Le novità sono altre. Le novità sono che Antonio Fazio è stato cacciato dalla Banca d’Italia, Fiorani è finito in galera, Ricucci dal magistrato, Gnutti sente già il tintinnar di manette e i vertici dell’Unipol sono quotidianamente accusati sui giornali di ogni genere di scorrettezza. E dulcis in fundo, il pubblico ministero che ha guidato le indagini fino a oggi, Francesco Greco, nei prossimi giorni potrebbe essere nominato alla guida della Consob. Quale migliore conclusione per una simile vicenda? Una vicenda che in questi giorni tocca il suo apice con il riaprirsi dell’antica e mai sanata ferita dell’opa Telecom (e su cui Oscar Giannino dice qui tutto quello che c’è da dire). Una vicenda che ha visto ben pochi tra i nostri intellettuali maestri di liberalismo, salvo forse il solo Piero Ostellino, levare la propria voce a difesa, se non della democrazia, almeno del decoro.
A essere sinceri, neanche questa è una novità. Tra gli anni venti e trenta, quasi nessuno escluso, gli intellettuali liberali del nostro paese non persero occasione di farsi almeno un giro di valzer con il fascismo. Salvo poi mandare i figli a studiare all’estero e darsi arie da coscienza critica della nazione. Qualcosa di simile accadde con l’estremismo e l’eversione di sinistra degli anni sessanta e settanta, con cui tanti illustri commentatori di oggi hanno a lungo civettato, per non dire di peggio. Questa è la radice di quello strano fenomeno, che forse solo in Italia ha avuto simile ampiezza e che potremmo definire l’anticomunismo comunista, che oggi prosegue in forma caricaturale nell’anti-postcomunismo. C’è tutta una genealogia del rancore e della cattiva coscienza, a volerla ricostruire, che lega tanta parte delle polemiche degli anni ottanta e novanta, sul ruolo di Craxi o sul revisionismo storico, con la campagna di questi mesi sull’etica del capitalismo. E’ quello che fa in parte su queste pagine Cesare Pandolfi, parlando giustamente di antitaliani (vedi qui).
Eppure, nonostante tutto, il centrosinistra si avvia ad andare al governo. E se gli attuali vincitori della partita per il controllo delle banche hanno interesse a far sì che quella dell’Unione sia una vittoria mutilata, dalla nuova legge proporzionale e dal peso di una campagna elettorale passata sotto le forche caudine dei grandi giornali, tuttavia non hanno interesse alcuno a dichiarare la guerra permanente. Lo scontro all’ultimo sangue non è mai stato nelle corde di capitalisti abituati da lungo tempo a rischiare solo i soldi degli altri (e sulle cui reali preoccupazioni rimandiamo qui a Carlo Derrico). Il loro problema – stiamo parlando evidentemente degli industriali-editori di tutti i principali quotidiani italiani – sta nel meccanismo perverso che essi stessi hanno messo in moto e che probabilmente oggi sarebbero i primi a voler fermare.
Ma in prima linea stanno ora i nuovi camaleonti. Intellettuali passati agevolmente da Potere Operaio alla corte di Bettino Craxi – raramente aderendovi apertamente, più spesso limitandosi a un discreto appoggio esterno – salvo poi schierarsi con altrettanta encomiabile dedizione al fianco dei magistrati di Mani Pulite. I nuovi camaleonti sono coloro che negli anni novanta non hanno esitato a sbattere in prima pagina rei confessi e inutili idioti, innocenti e colpevoli, con largo uso di intercettazioni e verbali coperti da segreto istruttorio. Il metodo è sempre lo stesso, per il semplice motivo che sempre gli stessi sono gli esecutori. Ma in questi tredici anni nei nostri camaleonti si è sedimentata una curiosa sindrome psicanalitica: dopo avere partecipato tanto entusiasticamente alla gogna, essi hanno maturato un profondo senso di colpa per il tradimento di cui si sentivano responsabili. La vittoria di Berlusconi e la sua campagna contro i magistrati non sono bastate a placare il loro animo inquieto. Quella campagna infatti l’hanno sostenuta a fasi alterne, riuscendo in un autentico capolavoro di mimetismo: appoggiare le tesi berlusconiane contro la sinistra giustizialista e al tempo stesso appoggiare la magistratura contro il presidente del Consiglio. Ricordate il celebre avviso di garanzia recapitatogli tramite il Corriere della sera, diretto dallo stesso Paolo Mieli che oggi recapita intercettazioni e insinuazioni ai dirigenti delle cooperative e dei Ds? Si sa, il postino suona sempre due volte.
Questo illustre camaleonte ha scritto un solo editoriale dall’inizio di quella campagna che è la sola ragione per cui è stato tanto improvvisamente richiamato alla guida del Corriere. Come suo antico costume, prima di prendere la penna ha atteso che il campo di battaglia fosse ricoperto soltanto di cadaveri. Quindi, il 16 dicembre, ha scritto a chiare lettere che la differenza tra queste cupe giornate e quelle di tangentopoli è che oggi “ad essere toccati dalle inchieste sono, in egual misura degli altri, personaggi e formazioni politiche che all’epoca furono soltanto sfiorate”. Evidentemente o a noi è sfuggita la notizia, oppure Mieli è a conoscenza di elementi che non ha ancora ritenuto di divulgare. A quanto ne sappiamo noi dalla lettura dei giornali, a essere toccati dalle inchieste sono ministri, sottosegretari e parlamentari di Lega, Alleanza nazionale, Forza Italia e Udc. Non abbiamo letto una sola riga a proposito di un solo dirigente di quelle “formazioni politiche che all’epoca furono soltanto sfiorate”. A meno che non si vogliano considerare le diverse pagine dedicate dal Corriere all’acquisto di una barca in leasing da parte di Massimo D’Alema equivalenti a un avviso di garanzia.
Ma la successione di eventi delle ultime settimane è di per sé sufficientemente esplicativa: prima l’incoronazione di Francesco Rutelli e Walter Veltroni come futuri leader di un partito democratico depurato di ogni peccato originale postcomunista da parte di Carlo De Benedetti, con il contestuale e assai significativo ridimensionamento di Prodi a semplice “amministratore straordinario” del centrosinistra. Poi l’ultimo e più esplicito proclama anti-postcomunista del direttore del Corriere, nell’iniziativa ulivista di sabato 17 dicembre, insieme al direttore di Repubblica Ezio Mauro. Laddove Mieli non ha esitato a indicare tempi, modi e leader del futuro partito. Questa è la risposta stizzita delle nostre elite ai quattro milioni e trecentomila elettori che hanno avuto la pretesa, tra la generale ilarità di tanti incauti commentatori, di scegliere autonomamente i propri rappresentanti. Ma in fondo è anche, speriamo, l’ultimo capitolo di questa triste biografia intellettuale della nazione, svoltasi interamente all’insegna del desiderio inconfessabile di cancellare il passato, giustiziando sull’altare il capro espiatorio delle proprie umane debolezze.