La scorsa settimana, in mezzo a molte, variopinte notizie, il maggior quotidiano nazionale è inciampato ben due volte nella più filosofica delle questioni, quella che oppone forma e contenuto. In effetti, a inciamparvi non è solo la filosofia, costretta a misurarsi con i potenti formalismi della scienza, ma anche la politica, costretta sempre più, in ogni angolo di mondo, a riversarsi entro l’orizzonte assiomatico universale della democrazia. Sul Corriere del 20 dicembre, Magdi Allam ha lanciato un appello “a George Bush e ai leader occidentali impegnati nella promozione della democrazia nel mondo arabo e musulmano”, e l’appello è: pensateci bene. Prendetevi una pausa di riflessione. Rischiate di fare il gioco dei fondamentalisti, che potrebbero, ironia della sorte, vincere le elezioni. Il rito formale della democrazia sarebbe rispettato, ma al potere ci troveremmo, benedetti dalle urne, i peggiori nemici. Sul Corriere Magazine del 22 dicembre, a prendersela con la democrazia formale è stato invece il professor Kristol, padre dei neo-con (e se tanto mi dà tanto…). Il quale Kristol trova semplicemente ridicolo pensare che la democrazia sia solo “una serie di regole e procedure”. Messo in allarme dal dilagare della pornografia che dentro le regole liberali della democrazia non trova un freno, Kristol patrocina un “concetto più arcaico della democrazia”, cioè pre-moderno, “secondo cui la qualità della vita pubblica è assolutamente cruciale”. Come nel caso di Allam non discuto in questa sede se di pause di riflessioni non bisognasse prenderne più d’una, e per tempo, così con Kristol non voglio discutere ora se sia davvero migliore la società che piace a lui, in cui c’è la censura e il materiale pornografico è venduto sottobanco (però, chissà se Kristol ha mai frequentato la città vecchia di De André, quella in cui un vecchio professore disprezza di giorno la pubblica moglie, la stessa che di notte dà un prezzo alle sue voglie). Ciò che mi interessa rilevare, è il fatto che in entrambi i casi la democrazia formale mostra, nelle parole dei suoi critici, i suoi limiti. In verità, di discutere non ci sarebbe neanche bisogno: basterebbe far giocare i due articoli l’uno contro l’altro. Kristol, infatti, guarda le nostre società secolarizzate e ripete sconfortato l’antico: non c’è più religione!; Allam, dal canto suo, guarda al mondo arabo e musulmano e lamenta che di religione ce n’è ancora un po’ troppa, sicché o ha ragione Allam, e allora dovremmo esportare preventivamente un po’ di oscenità nel mondo arabo, o ha ragione Kristol, e allora dovremmo importare qualche fatwa nel mondo occidentale.
In realtà hanno torto entrambi, poiché entrambi pensano che l’orizzonte formale in cui si dispiega la politica democratica moderna sia desolantemente vuoto (ancora il fantasma del nichilismo!), e credono dunque che possa essere riempito impunemente delle peggiori sconcezze dei pornografi, o delle più atroci nefandezze dei fondamentalisti. Quell’orizzonte, invece, non è affatto vuoto, ma si radica in una forma di vita, che è la forma di vita occidentale. Allam giudica forse realistico esportare quella forma di vita prima di esportare il suffragio libero, universale e segreto, per maschi e femmine; Kristol vorrebbe invece moralisticamente sostituirla con qualcosa di più probo e onesto (specie per le femminucce, si capisce). Entrambi suppongono che, qui da noi (Kristol) o nei paesi arabi (Allam), l’uomo non sia effettivamente quale è veramente (cioè secondo il suo più alto concetto), e perciò vogliono farlo essere come suppongono che adesso non sia, cioè: più buono, più costumato o meno sanguinario, prima di regalargli il giocattolo democratico.
Purtroppo, questo è il modo sbagliato per sostenere il paradosso della democrazia, la quale indubbiamente funziona come deve solo se è messa in esercizio da uomini liberi, se la vita pubblica è ordinata, se la coscienza civile è educata, ma uomini liberi, ordine pubblico e educazione civile non sono beni disponibili a priori, prima dell’esercizio democratico. La democrazia ne dipende, ma li produce anche. È un paradosso, certo, che la democrazia dipenda da ciò che produce, è un circolo, ma l’importante non è sospendere il circolo in omaggio alla realpolitik (ma in realtà alle proprie paure), o spezzarlo con censure illuminate (assaliti in realtà da non confessabili ossessioni). No, l’importante è stare nel circolo – come dicono i filosofi – nel modo giusto. Invece di supporre che l’uomo non sia quale debba essere, per farvelo essere a forza, la democrazia suppone al contrario che l’uomo sia veramente quale non è effettivamente, per farlo diventare così come si è supposto che sia. La democrazia è insomma la propria pedagogia, e non ce n’è una migliore.
Non è mica un gioco di parole. E’ anzi il modo con il quale va respinta la rappresentazione meramente formale della democrazia: non perché si debba inoculare in essa un contenuto preso altrove, visto che da sola non ce la fa, ma perché essa produce da sola il suo proprio contenuto. E, in genere, lo fa abbastanza bene. Il luogo comune secondo il quale la democrazia presuppone un’attitudine negativa nei confronti del bene e della verità va dunque radicalmente confutato: non perché la democrazia possegga il bene e la verità, ma perché solo non possedendoli può mettere l’uomo sulla loro via. E fateci caso: la democrazia decade agli occhi dei suoi critici a vuota cerimonia formale, solo quando si pretende di sapere già dove deve andare a parare. Cioè dove quella pretesa si coltiva: nelle sagrestie, nei centri studi e nei salotti buoni.