E’ la settimana decisiva, per gli sviluppi giudiziari del tentativo Unipol su Bnl. Inutile illudersi. Se fossimo in un paese normale, giocoforza bisognerebbe osservare che se la Consob venerdì scorso, dopo settimane intere di approfondimenti richiesti a Unipol e alle parti correlate nell’opa, ha deciso alla fine di ritoccare di una manciata di centesimi il prezzo offerto dalla compagnia bolognese ai detentori di titoli Bnl – è la prima volta che si attua il principio dell’integrazione su miglior acquisto successivo alla media dei dodici mesi precedenti la data dell’opa, ed è un bene per il mercato, ma naturalmente mica è un caso che lo si faccia in quest’occasione, prima mai – di conseguenza bisogna pensare che l’opa è valutata come una cosa seria e anzi serissima. Che sta e starà in piedi, e che a questo punto bisogna solo avere la santa pazienza di aspettare le settimane aggiuntive che scatteranno inevitabilmente. Poiché dal primo gennaio formalmente la normativa per l’autorizzazione di un’opa che porti alla nascita di un soggetto banco-assicurativo si modifica, per effetto dell’entrata in vigore della disciplina sui conglomerati finanziari. In base alla nuova disciplina, l’Isvap si vede intestata – a differenza di quanto previsto fino al 31 dicembre – la competenza di una vera e propria autorizzazione, e Bankitalia avrà poi la parola definitiva, vista la prevalente natura bancaria dell’aggregato che verrebbe a nascere. A via Nazionale, finché Fazio ha lasciato, non consideravano la nuova disciplina e la data del primo gennaio come una mannaia, poiché tutti gli atti compiuti in precedenza restano validi e dunque cambia solo l’ordine dell’iter procedurale. Ora, chissà.
Ma non per questo, naturalmente, è decisiva la settimana tra Natale e Capodanno. Nel paese in cui viviamo, bisogna infatti pensare che la stessa Consob che ne ha ritoccato il prezzo dopo attento esame, tra poco butti tutto per l’aria daccapo, e ci dica magari che l’opa aggira il mercato e tutti i risparmiatori. La differenza potrebbe venire naturalmente dai pm milanesi. I quali non sono affatto contenti al momento di quanto hanno sin qui ottenuto sul coinvolgimento di Giovanni Consorte nel diretto concerto con Fiorani su Antonveneta. Per questo si sono riservati di torchiare Gnutti, poi di tornare su Fiorani. E poi ancora, finché emergano tutti i possibili elementi ai quali mirano: per la piena omologazione di Consorte e della sua Unipol a Fiorani e alla Lodi, in un’unica congiunta regia volta insieme a Rcs, Antonveneta e Bnl.
Tanto al momento gli elementi dati da Fiorani facevano pensare al più a conti personali di Consorte, sui quali si realizzavano compravendite azionarie che non costituiscono reato, che alla vigilia di natale il Sole 24 ore ha dovuto titolare le prime indiscrezioni filtrate dai pm con una formula che la dice lunga: “BPI regista di Unipol su Bnl”, come a dire che se il concerto delinquenziale tra Fiorani e Unipol ancora non si trova, si deve pensare che sia stato comunque il delinquente Fiorani a dettare le mosse all’intera Unipol. E’ una tesi risibile, per chi ha una idea seppur vaga di come si prendono le decisioni a Bologna, e di quanto approfondito sia stato il confronto con le cooperative azioniste e collegate a Unipol. Ma dice apertamente qual è l’obiettivo perseguito. L’attuale vertice confindustriale e le due maggiori banche che lo sostengono, Intesa e Capitalia, considerano a tutti gli effetti che il successo di Unipol introdurrebbe un elemento inaccettabile, nell’attuale equilibrio italiano potentemente riconsolidato a colpi di custodia cautelare e verbali passati ai giornali.
I pm sanno di poter contare in questo sull’esultanza eventuale di metà della sinistra, e sulla comprensibile simpatia da parte di larga parte del centrodestra, che esulta all’idea di poter omologare ai furbetti, sotto elezioni, un pezzo “storico” della presenza ds nella società e nel mercato italiano. Chi qui scrive, riservatamente ha parlato con parecchi esponenti di punta del centrodestra sull’argomento. Ne ha ottenuto la franca ammissione che naturalmente non sfugge loro affatto che l’omologazione è pura forzatura, e che una parte politica che goda dei colpi portati all’avversario è autolesionista perché agevola lo stesso sistema applicato a se stessa. Ma, insieme, larghi sorrisi di circostanza e benedizioni alla buona ventura, all’eventualità che in campagna elettorale i leader di un partito come i Ds vengano colpiti da sospetti di pesanti coinvolgimenti.
In più, non ci si ferma a questo. Per via Stalingrado e con l’aggancio del ruolo interpretato da Chicco Gnutti, i pm milanesi intendono ricostruire l’intera storia italiana fin dall’opa Telecom lanciata da Roberto Colaninno, ai tempi del governo D’Alema. Sino a quest’oggi, negli interrogatori degli indagati le loro domande picchiano sull’utilizzo dei denari incassati da Hopa e Bell quando l’intesa con Colaninno si infranse, di fronte all’offerta dei subentranti guidati da Tronchetti Provera. Del resto Guido Rossi fu sconfitto, dall’opa Colaninno. E non ha mai cambiato idea sul fatto che allora fosse un male, che palazzo Chigi invece di consentire un’operazione di mercato non mettesse in atto l’intera panoplia degli strumenti statalisti residui per impedirla, e lasciare a Telecom chi c’era, dopo una discutibilissima privatizzazione che aveva attribuito il controllo del gigante a privati che ne detenevano solo il 6% del capitale e con la Fiat inizialmente a indicarne il management con appena lo 0, 48% delle azioni. La difesa dell’assetto di allora passava attraverso la violazione da parte di Telecom di regole di mercato come la passivity rule – che infatti non a caso anche la Bnl di Abete viola oggi, alienando sotto opa le sue controllate assicurative argentine, ma nessuno se ne scandalizza – per cui se avessero vinto Rossi e Bernabè oggi Telecom Italia sarebbe stata dei tedeschi di Deutsche Telekom. La tesi sottostante agli interrogatori di questa settimana è che fin d’allora una banda di pericolosi filibustieri nemici del mercato e della trasparenza, grazie al concreto sostegno politico garantito loro dall’onorevole D’Alema, si sia impadronita di fette crescenti della finanza, della banca e dell’impresa italiana.
Ora si può magari non votare e non essere iscritti ai Ds, ma bisogna essere pronti a lottare, perché questo falso storico non passi. E’ un falso in termini politici. Ed è un falso in termini di mercato. Quanto sia falso in termini di mercato, aiuterà a chiarirlo tra poche settimane il libro intervista che Roberto Colaninno ha realizzato con Rinaldo Gianola: quest’ultimo era allora critico di Telecom sulle colonne di Repubblica, quindi non è un colaninniano “a prescindere”. Quanto sia poi falso in termini politici, invece, bisognerà lottare politicamente per affermarlo. E’ per questo che Francesco Cossiga – provocatorio ma sincero – ha regalato per Natale a Massimo D’Alema una leppa sarda, un coltello a serramanico. Bisognerà essere pronti a usarlo, in termini figurati s’intende. Su tante altre cose magari, ma su questo non si può davvero essere d’accordo con l’inedita coppia Spinelli-Ferrara: anche chi mai ha sopportato facilmente la presunta “diversità” comunista, sa che qui non si parla affatto di lei. Chi usa la barca di D’Alema per letti di Procuste buoni a metter nello stesso frantoio chiunque attenti al potere dei banchieri di Cirio e Parmalat e di industriali che con Gnutti hanno continuato – anche se non si scrive – a fare affari quando Colaninno l’ha mandato a quel paese, o è un cieco – e allora merita pena e comprensione. Oppure è interessato – e allora, cari amici, mano alla leppa.