Perché gli intellettuali tacciono? Buona domanda. Specialmente se si ritiene che tocca a un intellettuale rispondere, visto che questi non potrà rispondere affermativamente, senza dimostrare nei fatti che gli intellettuali non tacciono, oppure che egli non è un intellettuale. È come con il barbiere di Bertrand Russell, che nel villaggio è il solo autorizzato a fare la barba a tutti quelli che non sanno radersi da soli, e che dunque non può sbarbare se stesso se non a condizione di non essere se stesso, cioè appunto il barbiere. Nel villaggio globale, rectius: nel villaggio provinciale dell’informazione politica italiana, Dino Messina rivolge il discorso al loquace Franco Cordelli e lo sventurato risponde (Corriere della Sera, 3 gennaio 2006), scegliendo, pur di non infilarsi nel paradosso del barbiere, di non sentirsi più di tanto appellato dalla domanda. Una svelta autocritica, e via. È del resto conforme al costume politico di molti intellettuali, di intendere certe domande come rivolte ad altri e non a sé. La domanda diviene dunque: perché gli altri intellettuali tacciono? È vero che, messa così, la domanda potrebbe essere anche intesa in altra, più angosciante maniera: perché io parlo, mentre gli altri tacciono? Di qui l’intellettuale potrebbe arrivare persino a domandarsi: “ma che cosa sto dicendo?”, e però non è questa la piega che la domanda prende in Cordelli. Il quale Cordelli si accorge infatti, e lestamente, di essere stato dalla domanda messo nella migliore condizione per fare ciò che, come intellettuale, si ritiene chiamato a fare: la morale. Come risponde infatti, Franco Cordelli, alla fatale domanda?
Così: “Oggi, invece, ed è questo l’ aspetto più grave, viene toccata una questione cruciale per la sinistra nel suo insieme, cioè la sua moralità. La politica di sinistra perde di senso, il suo connotato, la sua identità, la sua fisionomia senza il rapporto con l’etica. Perciò mi appare impossibile che gli intellettuali come me schierati a sinistra non siano turbati dal sospetto e dal timore che politica e morale stiano prendendo strade opposte”. La prima cosa che viene da pensare leggendo queste parole è che effettivamente, a sinistra, la funzione intellettuale un bel po’ di senso lo abbia ormai perso. Cordelli infatti la mette in questi termini: se parli degli scandali in casa altrui, sei solo un moralista; se invece parli degli scandali che investono la tua parte politica, allora trovi il modo “di restituire senso alla politica di sinistra”, “non sei più un moralista ma entri nel vivo della questione morale che, ripeto [ripete, perbacco!] è ciò che ci rende diversi dalla destra”.
Ora, è difficile capire come Cordelli possa, nel corso della medesima intervista, ritenere che a rendere diversa la sinistra dalla destra sia la questione morale, e lamentare che l’intellighentia di sinistra commette un gravissimo errore a considerarsi moralmente superiore alla destra. È anche difficile capire come Cordelli possa, nel corso della medesima intervista, prendere dal passato l’esempio del ruolo intellettuale svolto da Pasolini e Sciascia, l’uno per essersi schierato “a fianco dei poliziotti proletari contro gli studenti figli della borghesia”, e l’altro per “la coraggiosa polemica contro i professionisti dell’antimafia” – e dal presente prendere invece ad esempio, come succedaneo dell’intellettuale impegnato, Marco Travaglio, che definire professionista dell’antimafia è, presumo, dargli motivo di molto onore.
Ma non è questo il punto. Poiché anzi c’è ragione di pensare che prima regola per un intellettuale sia di pensar bene, e che chi pensa bene agisce bene, c’è ragione pure di sperare che la contraddittorietà del pensiero di Cordelli sia solo apparente, benché anche molto appariscente. Il punto è invece questo benedetto ruolo pubblico dell’intellettuale, che secondo taluni c’è, secondo talaltri non c’è; secondo alcuni non c’è ma ci dovrebbe essere, secondo altri c’è e non può non esserci, e via chiacchierando. Quel che a me pare certo innanzi tutto, è che ben difficilmente questo ruolo, se c’è, se ci deve essere, può consistere nel rimasticare le opinioni ricevute, nel ripetere quel che si sente dire in giro, nel farsi eco di pensieri altrui. Ora io non so quanto Cordelli sia in questi giorni turbato, e non so nemmeno quanto ci sia da turbarsi. So però che da un intellettuale mi aspetto qualcosa di più di un turbamento per i rumors che finiscono sui giornali. I Pasolini e gli Sciascia che Cordelli cita (a sproposito, come mi pare) interpretavano proprio così la loro funzione: non lasciavano certo che i rumors gli rimbombassero nelle orecchie e gli riempissero la bocca.
Ma, si potrebbe obiettare: non si pretenderà mica che Cordelli, un intellettuale, vada alle fonti, legga carte e documenti di prima mano, e magari ne capisca anche un po’ del mondo finanziario italiano? E perché no? Perché sarebbe questa una condizione troppo onerosa per un intellettuale? Forse perché un intellettuale non può intendersi di tutto, e perché così, affaticato dai particolari, non potrebbe mirare all’universale? Ma a parte il fatto che è proprio quello che gli intellettuali impegnati di cui Cordelli lamenta da un po’ di anni l’assenza erano in grado di fare, sta il fatto che la questione universale, degna di un intellettuale, Cordelli ce l’aveva a portata di mano. Peccato che non ne sia stato all’altezza. Cordelli poteva spiegare finalmente che non è vero affatto, storicamente e teoricamente, che è la morale a dividere la sinistra dalla destra; che non c’è nulla di più triste dell’immiserire il ruolo dell’intellettuale a guardiano della pubblica decenza, che non c’è nulla di più deprimente (e di falso) del pensare la politica iuxta moralia principia. Da intellettuale di sinistra, Cordelli potrebbe dare una mano a spiegare che la questione morale di Berlinguer, proprio quella è stata il vero succedaneo del venir meno delle questioni politiche su cui la sinistra comunista aveva fondato in Italia la sua funzione storica. Se avesse fatto ciò, si sarebbe certo attirato gli strali di quanti pensano che chi così ragiona ha perduto ogni senso della morale, individuale e pubblica, oppure usa vergognosamente una doppia morale. Avrebbe dato scandalo di sicuro, come Pasolini e Sciascia, uomini di altissima moralità. Cordelli ha preferito invece farsi intervistare dal Corriere, e senza entrare nel merito, dare fiato a quel che il Corriere già pensa e già scrive su tutte le altre pagine del giornale. Non è stata un’impresa titanica. Cordelli chiede agli intellettuali di schierarsi, e si è schierato; ha fatto bene. Ma almeno non dia a intendere che si è schierato controcorrente. E a proposito, chi scrive, invece di schierarsi, preferisce, se può, rischiararsi. Questo solo chiede ai propri pensieri, e così interpreta la funzione di intellettuale: pensare bene, se è lecito dire, e cominciare di qui ad essere morale.