Si possono dire tante cose a proposito del season finale della seconda stagione di West Wing, andato in onda in Italia su Fox la settimana scorsa. Ad esempio, che Josiah Bartlet è il Presidente che qualunque bipede senziente dotato di un briciolo di intelligenza voterebbe, quali che siano i suoi (suoi del bipede votante) orientamenti politici, etici e culturali pregressi. Ma questo si sapeva già. Ciò che non si sapeva, invece, è che Bartlet è cattolico. Lo spettatore lo apprende dai flashback copiosamente distribuiti nel corso della puntata, nei quali il Presidente viene mostrato all’epoca in cui era studente di high school, dalle parti degli anni ‘50, alle prese con l’inizio della sua vocazione politica e con la persona che di tale vocazione è stata la causa scatenante: la signora Landingham, che gli spettatori del telefilm conoscevano fino ad allora come l’anziana segretaria del Presidente.
Il seguito della puntata è un profluvio di emozioni, di altri flashback, di scene madri: un capolavoro è quella in cui il Presidente resta da solo nella cattedrale dove si è appena concluso il funerale della signora Landingham, morta in un incidente automobilistico assurdo e crudele, mentre il mondo di Bartlet sembra sul punto di implodere tra crisi internazionali, lotta disperata contro le multinazionali del tabacco, problemi di consenso a causa di una grave malattia nascosta all’opinione pubblica. Ci si mette pure un uragano fuori stagione, che flagella la costa orientale degli Stati Uniti. E a questo punto Bartlet, un po’ come il biblico Giacobbe, fa a pugni con Dio, minacciandolo e rimproverandolo in latino, infine spegnendo sprezzantemente una sigaretta sul sacro pavimento di marmo.
Quando poi il Presidente esce dalla cattedrale dove ha letteralmente bestemmiato un Dio che, come già fece con il Figlio Unigenito in cui Bartlet crede, lo sta mettendo in croce spianando la strada ai suoi detestabili avversari (compreso l’improponibile e viscido vicepresidente Hoynes), avviene la trasformazione, meglio sarebbe dire una vera e propria conversione: Bartlet capisce che Dio, per agire nella storia, non si affida ai miracoli. Si affida agli esseri umani. Si affida alle “signora Landingham”. Si affida ai “Josiah Bartlet”. E quando, sulle note di “Brothers in Arms” dei Dire Straits, giunge bagnato fradicio alla sala stampa dove, prevedibilmente, verrà crocifisso dai giornalisti per il suo presunto peccato di omissione nel confessare per tempo le sue condizioni di salute, si capisce che ha deciso di annunciare che, nonostante tutto quel che gli sta succedendo, si ricandiderà, per riprendere la sua lotta non più contro Dio, ma contro la voglia di arrendersi. Contro la disperazione. Contro il principio miracolistico (e molto poco cattolico) di un Dio che intervenga al posto degli uomini e della loro responsabilità a cavarli d’impaccio, a salvarli per la fede e non per le opere.
Due domande oziose, per finire.
La prima: c’è qualche bipede senziente al quale, vista la puntata, sia venuto in mente che no, il Presidente Bartlet non avrebbe dovuto agire in quel modo, non avrebbe dovuto mettersi le mani in tasca e guardare a sinistra, non avrebbe dovuto decidere di ricandidarsi, non avrebbe dovuto dare la parola alla giornalista in mezzo alla sala bensì, come gli era stato suggerito dal suo staff, all’innocuo cronista al primo posto a sinistra della prima fila che non gli avrebbe fatto domande sulla sua ricandidatura, e ciò perché, in uno stato laico, bisogna tenere la religione fuori dalla politica? La seconda: perché tra i politici italiani che dicono di ispirarsi ai principi del cattolicesimo non c’è nessuno che, almeno un po’, assomigli al Presidente Bartlet?